Lucio D’Ubaldo mi ha chiesto di fare un gioco. “Siccome nella scorsa legislatura hai fatto il Capogruppo alla Camera, prova a scrivere ciò che avresti detto in occasione della fiducia al nuovo Governo, cercando di interpretare le opinioni di Rete Bianca”.
Richiesta un po’ bizzarra, ma a Lucio non si può dire di no. Ecco dunque ciò che avrei detto in questa occasione.

Signor Presidente del Consiglio,
voteremo a favore della fiducia al Suo Governo.
Il nostro sarà un voto convinto ed assieme critico ed autonomo.
Votiamo la fiducia, innanzitutto, per corrispondere alla pressante richiesta di responsabilità che proviene dal mondo civile, sociale ed economico del Paese.
Parti importanti della nostra Comunità non ne potevano più di assistere alla deriva dei valori fondanti del nostro sistema democratico.
Ma penso anche a quanti – pur magari avendo votato nel marzo 2018 per i partiti della precedente maggioranza, o non avendo votato – hanno cominciato ad avvertire che gli interessi del Paese sono più importanti di quelli di parte ed oggi attendono dal Parlamento segnali e prospettive nuove di fiducia e di speranza.
Il Presidente della Repubblica, pur nel rigoroso rispetto della sua terzietá rispetto alla dinamica politica, non ha mancato di far appello a questi principi di responsabilità, fiducia e tutela del ruolo delle istituzioni.
Votiamo la fiducia perché in politica occorre scegliere la soluzione migliore tra quelle date.
Il Suo nuovo Governo rappresenta oggi un tentativo di sbarramento contro la deriva post democratica che la Lega di Matteo Salvini stava interpretando con spregiudicata disinvoltura, come Lei stesso ha avuto modo di ricordare nel Suo intervento al Senato in occasione delle Sue dimissioni.
Una spregiudicata disinvoltura che puntava a determinare, con l’immediato ricorso alle urne e la inaudita richiesta di “pieni poteri”, una trasformazione radicale del nostro modello democratico, immaginando, nel contempo, per il nostro Paese il ruolo di “utile idiota” delle potenze antieuropee ed antiliberali.
Cogliamo al contrario nelle Sue dichiarazioni il senso di un “ritorno” dell’Italia nel solco della sua tradizionale e costitutiva posizione europeista, resa ancor più evidente dalla designazione di Paolo Gentiloni quale Commissario Europeo.
Noi siamo fautori di un europeismo tutt’altro che acritico o meramente ideologico, ma fondato sulla chiara consapevolezza che il disegno europeo va corretto e reinterpretato ma non abiurato.
È solo in tale ambito, a fronte degli scenari globali di questo nostro tempo, che le Nazioni Europee possono mantenere la loro identità e far valere nel mondo i valori fondanti della cultura sociale e democratica europea.
Ed è solo nel quadro saldamente europeo che potremo gestire i fenomeni migratori al di fuori dell’approccio irresponsabile e criminogeno che si è visto nei provvedimenti adottati dal Suo precedente Governo.
A questi fini è però necessario che l’Italia riscopra anche i propri doveri. E si impegni per dotarsi degli strumenti culturali, sociali, economici ed istituzionali per concorrere attivamente al rilancio dell’idea europeista e – in tale contesto – rilanciare il proprio stesso futuro.
Votiamo la fiducia al Suo Governo, in questo senso, anche per alcuni accenni di contenuto che abbiamo colto nel Suo programma.
Riteniamo necessario un intervento coerente e ragionevole sul piano delle riforme istituzionali.
Prendiamo atto che si punta alla riduzione del numero dei Parlamentari (intervento che riteniamo più di facciata propagandistica che di effettiva valenza di sistema) ma vediamo con favore le correlate (necessarie) ipotesi di una legge elettorale di tipo proporzionale e quelle di alcune modifiche costituzionali volte, tra l’altro, a introdurre la “sfiducia costruttiva”.
Ugualmente riteniamo necessario operare per il rilancio di una idea autonomistica della nostra Repubblica, a partire dal riconoscimento del ruolo dei Comuni, dalla riqualificazione (anche differenziata, pur nel rispetto dei principi costituzionali) delle Regioni, dal ripensamento delle soluzioni adottate in passato in merito alla governance democratica delle aree non urbane e non metropolitane.
Riteniamo questa – assieme a quella della radicale riforma dello Stato Centrale – l’unica strada per ottenere un Paese “a trazione integrale” e per superare gli attuali inaccettabili squilibri territoriali.
L’Italia ha nello stesso tempo il dovere di mettere mano agli squilibri sociali che la connotano.
Vediamo con favore la dichiarata centralità della famiglia quale dimensione basilare delle politiche di equità e coesione sociale.
Apprezziamo l’indicazione di una politica fiscale che privilegi il sostegno alle fasce sociali più deboli e al ceto medio.
Consideriamo fondamentale abbandonare ricette inique, improbabili e non consone allo spirito del nostro Paese, come la Flat Tax, per investire invece le risorse disponibili sulla riduzione drastica del cuneo fiscale a carico di lavoratori e imprese.
Siamo favorevoli a progetti forti e coerenti di investimento sull’innovazione tecnologica, a partire da quella digitale.
Riteniamo doveroso imprimere alle nostre politiche economiche un salto di qualità sulla strada della lotta al cambiamento climatico, intesa non solo come risposta ad una emergenza troppo a lungo negata, ma anche come occasione di una progressiva rigenerazione dei nostri modelli di sviluppo e di organizzazione sociale.
Votiamo a favore della fiducia al Suo Governo – e forse è la motivazione per noi più importante – per gli accenni fatti alla necessità di un clima più concorde e costruttivo nel Paese e nelle sue istituzioni.
Eravamo e restiamo seriamente preoccupati di una politica sempre e costantemente sopra le righe, senza alcuna forma di riconoscimento e di rispetto per gli avversari, priva di quell’equilibrio (anche nell’uso degli strumenti di comunicazione) che ne costituisce caratteristica essenziale.
Non era e non è questa la fisiologia della politica: è semmai la sua patologia. È la rappresentanza che degrada nella rappresentazione; la funzione di guida responsabile che muore nelle secche della compiacente ed irresponsabile esaltazione delle paure e delle inquietudini del popolo. È, in una parola, l’emblema di una politica popolare che perde i suoi connotati nel populismo.

Signor Presidente del Consiglio,
il nostro voto sarà dunque a favore della fiducia.
Ma sarà un voto critico ed autonomo.
Sarà un “appoggio esterno”, come si diceva un tempo.
Nei nostri documenti di queste settimane avevamo espresso la nostra opinione, tesa a suggerire un Governo più “istituzionale” che “pienamente politico”.
Rimaniamo della nostra opinione, anche se prendiamo atto con spirito costruttivo della diversa scelta adottata.
Non ci condiziona minimamente la scontata accusa che il centro destra Le rivolge: quella di aver dato vita ad un “ribaltone” maturato nelle stanze del potere al fine di coltivare l’attitudine alle “poltrone”.
È una affermazione disperata, di chi aveva scommesso tutto su una mossa ed ha perso.
Del resto, anche il Suo precedente Governo era frutto di un Accordo maturato fuori dalle indicazioni politiche che Lega e M5S avevano presentato agli elettori.
La nostra valutazione nasce piuttosto sul fatto che il Suo nuovo Governo non nasce da un compiuto e onesto riconoscimento delle contraddizioni politiche che hanno determinato la crisi di agosto.
Essa non può essere spiegata come frutto di un semplice tradimento da parte della Lega rispetto al “contratto sottoscritto”.
Diversamente non si spiegherebbe e non avrebbe credibilità alcuna la volontà annunciata di una “svolta politica”.
Questa analisi di ciò che è accaduto nella fase precedente è mancata; può essere semmai indirettamente desunta dalle Sue dichiarazioni programmatiche di oggi.
Ma i passaggi politici, sopratutto se connotati come “svolte”, esigono parole chiare e giudizi espliciti, in particolare se in gioco vi sono principi e valori ritenuti importanti.
Una “svolta politica” non nasce solo perché uno dei partner precedenti si ritira da un patto di governo: nasce se si ritrova una nuova sintesi di visione culturale e di progetto politico.
Questa lacuna condiziona il nuovo corso che Lei ha annunciato ed accresce la fragilità del percorso del nuovo Governo e del suo rapporto con la pubblica opinione.
Del resto, rimangono per noi aperte alcune questioni di sostanza.
Ne cito solo due.
La prima riguarda l’idea di democrazia che si intende perseguire.
Noi riteniamo che la democrazia rappresentativa sia ancora un valore.
Essa richiede riforme e rigenerazione, ma non crediamo ai modelli più volte evocati di democrazia diretta.
La seconda questione aperta riguarda l’idea di società.
Per noi è fondamentale una concezione che rilanci l’inscindibile binomio “persona-comunità” come centro della vita comunitaria.
Consideriamo che l’esaltazione dei diritti individuali, disgiunti da quelli sociali, porta ad una società deresponsabilizzata e dipendente dal rapporto tra individuo e potere.
Pensiamo che la centralità dei corpi intermedi come ambito fondamentale della vita comunitaria sia la strada giusta per affrontare le sfide del futuro e per ricostruire lo stesso “carisma popolare” delle pubbliche istituzioni.

Signor Presidente del Consiglio,
un nuovo ciclo comunque oggi si apre. Noi ne sosteniamo lealmente l’avvio, per le ragioni sopra accennate.
Saremo costruttivi nel nostro rapporto col Governo, vigili sulle questioni per noi importanti, autonomi nella valutazione degli sviluppi della situazione politica ed istituzionale.
Ci auguriamo che la Legislatura possa andare al suo compimento naturale, nell’interesse del Paese.
Nel frattempo, al di fuori di questa Aula, accompagneremo questa fase delicata e importante dando il nostro contributo ad un processo che non riguarda il Governo, ma la società ed il bisogno di una sua nuova rappresentanza politica.
Questo Governo ha posto uno stop alla strategia post democratica e perciò votiamo la fiducia. Ma sappiamo bene che non si tratta di uno stop definitivo.
Occorre ricostruire cultura, visione, rigenerazione dei valori democratici, capacità di ascolto e dialogo con il popolo.
Occorre che le culture politiche tornino ad alimentare ed innervare la pratica politica e la rappresentanza.
Ciò chiama in causa anche la nostra cultura, quel Popolarismo di laica ispirazione cristiana che non può essere più confinato nella pura testimonianza personale o nelle citazioni dei personaggi del passato, ma deve tornare a farsi progetto sociale e programma politico.