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domenica, 27 Luglio, 2025
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Dibattito | Lo sgradevole circo riguardo al serio tema delle istituzioni per la pace

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. La coordinatrice nazionale della campagna per l’istituzione del “Ministero della pace” ha chiesto di replicare - in particolare - all’intervento di Elisabetta Campus (Ministero della Pace, ovvero Ministero del Nulla).

C’è chi definisce il Ministero della Pace un’idea vaga, addirittura “del nulla”. Curioso: proprio oggi, nel mezzo del più alto numero di conflitti armati dalla Seconda guerra mondiale, la vera ingenuità sembra l’ostinata fiducia in soluzioni militari che non portano né sicurezza, né stabilità. Chi liquida la creazione di una istituzione per la pace come utopia, dimostra semmai una drammatica miopia culturale e strategica.

Perché costruire la pace non è un vezzo morale, ma un’urgenza politica. Espressioni come portare il

‘popolo al governo, oltre che poco comprensibili, suonano sempre come una formula magica da fiera. Si tratta piuttosto di impiantare all’interno dell’indirizzo politico un ministero per la pace affinché si possano valutare proprio da parte del popolo le politiche per la pace.


La campagna per il Ministero della Pace è attiva dal 2017 con una proposta concreta già da molti anni e certamente non è un’operazione di marketing politico. L’urgenza di un Ministero della Pace si fa solo più ineludibile all’ombra delle crescenti tensioni globali, e il convegno del 24 giugno a Roma ne è testimonianza concreta, non esercizio di visibilità.

Sminuire e dileggiare questa iniziativa a semplice marketing politico non solo offende la profondità e la serietà di un impegno pluriennale, ma può tradire un’interpretazione faziosa e distorta della realtà. La pace non è un’opportunità di propaganda, ma una necessità strutturale che reclama risposte immediate e responsabili.

E non si parte certamente da zero. In Italia esiste già un patrimonio diffuso, robusto e competente: assessorati alla pace, scuole di nonviolenza, corpi civili, operatori di mediazione, reti di cooperazione. È una realtà viva, articolata, che ha già prodotto soluzioni efficaci. Sarebbe non solo miope, ma inspiegabile trascuratezza sul piano istituzionale, non metterla a sistema.

Il Ministero della Pace nasce proprio per questo: dare forma organica a ciò che già esiste, offrire

coerenza, coordinamento e continuità a iniziative oggi disperse e sotto-finanziate.

Investire in pace significa prevenire conflitti e costi sociali ed economici ben più alti di qualsiasi budget ministeriale. La pace è investimento di lungo termine, non spesa improduttiva. I valori hanno bisogno di istituzioni che li traducano in politiche pubbliche concrete.

È bene chiarirlo: i pacifisti lavorano per la pace anche senza un ministero. Lo fanno da decenni, nei territori, nelle scuole, nei conflitti dimenticati, senza riflettori e spesso senza risorse. Ma proprio per questo il punto non è “dare loro uno spazio”, bensì riconoscere istituzionalmente la dignità di ciò che fanno. Le istituzioni hanno il dovere di raccogliere, sostenere e sistematizzare questo sapere diffuso, trasformandolo in politica pubblica.

L’idea che un Ministero della Pace non vada nemmeno tentato perché “con questo governo durerebbe poco” è un ragionamento che confonde il timore con il pensiero politico. Se seguissimo questa logica, allora nessuna riforma dovrebbe essere proposta finché non ci sia un governo perfetto, eterno e pienamente allineato ai nostri ideali.

Ma la buona politica si misura non su ciò che è garantito, bensì su ciò che è giusto promuovere, anche in condizioni avverse. Inoltre, molti strumenti oggi dati per acquisiti sono nati proprio in contesti ostili, e hanno resistito grazie alla forza della loro utilità e della società civile che li ha sostenuti: pensiamo al Servizio Civile, alla legge sull’obiezione di coscienza, o a tante esperienze amministrative nate localmente e poi fatte proprie a livello nazionale.

Un Ministero della Pace non è un atto di fede verso un governo, ma una scommessa istituzionale su un principio di lungo periodo: che la pace debba avere una regia pubblica, autorevole, dotata di risorse e continuità. E se davvero un domani qualcuno vorrà smantellarlo, dovrà farlo alla luce del sole, togliendo dignità e voce a decine di reti, esperienze, amministratori locali, cittadini. Questo avrebbe un peso politico tutt’altro che trascurabile.

Promuovere la pace non è solo moralmente e costituzionalmente giusto ma anche politicamente utile ed economicamente sensato, diventerà difficile ignorarlo, anche per i governi futuri.

Insomma, non è certo il contesto a decidere il valore di un’istituzione. È il suo impatto. E se la pace merita un’architettura stabile, allora il rischio di doverla difendere domani non può essere la scusa per non costruirla oggi.

C’è chi si dice pacifico, ma teme che la pace – se davvero diventasse politica – gli tolga l’alibi di un pacifismo di facciata. Perché è più comodo criticare che impegnarsi, più facile deridere che dare forma alla complessità.

Alla fine, chi lo ridicolizza forse teme che un Ministero della Pace funzioni davvero. Che dimostri che l’alternativa alla guerra non è il caos, ma un ordine più giusto. E allora sì: inizierebbe a far paura. Ma solo a chi vive – o prospera – del conflitto.

Laila Simoncelli

Coordinatrice Nazionale Campagna Ministero della pace – Una scelta di futuro

www.ministerodellapace.org