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domenica, Marzo 9, 2025
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Digiuno e vittoria, il paradosso della Russia oggi.

In Russia si sta diffondendo un’imprevista sensazione di smarrimento, di perdita della comprensione del “proprio ruolo”. C’è il “senso della vittoria”, ma non si capisce bene in che cosa essa consista.

Come succede ogni cinque-sei anni, la Pasqua giubilare del 2025 coincide nelle date tra cattolici e ortodossi, e in questi giorni tutti iniziano i riti della Santa Quaresima, con la richiesta reciproca di perdono mentre sono in corso le trattative globali per ritrovare la pace e mettere fine ai conflitti, a cominciare da quello tra Russia e Ucraina, che ha smosso gli equilibri mondiali. Il patriarca di Mosca, Kirill (Gundjaev) ha presieduto domenica 2 marzo la liturgia Syropustnaja, della “rinuncia ai formaggi” che segue la precedente settimana Mjasopustnaja, la “rinuncia alla carne” che nel mondo latino ha prodotto il Carnevale – la festa sfrenata di “addio alla carne” – mentre nella pratica ortodossa si rinuncia fino alla Pasqua ad ogni cibo di origine animale, e si richiede il perdono prima di iniziare il Velikij Post, il “Grande Digiuno”.

Come ha spiegato il patriarca ai fedeli, il Post è un “periodo particolare, che richiede all’uomo molto di più che il solito nell’attenzione alla propria vita spirituale, analizzando a fondo i propri pensieri, le proprie parole, e naturalmente le proprie azioni”. Il Digiuno quaresimale è “una scuola in cui finalmente volgiamo a noi stessi l’attenzione che normalmente ci manca, inghiottiti dalle tante preoccupazioni quotidiane”, attenzioni da concentrare in particolare su quanto avviene nella vita, soprattutto ai “conflitti che derivano dalle emozioni, più che dalla logica”, in cui tutti si sentono offesi, ma “tutti abbiamo delle colpe”, accennando in qualche modo al superamento delle reciproche pretese anche nella guerra.

Come spiega Kirill, “quando si entra in una situazione di conflitto, bisogna fare tutto il possibile per risolverla”, e se non si riesce a venirne a capo, perlomeno “nelle fasi più acute dello scontro bisogna rivolgere a sé stessi la domanda: io che ruolo ho avuto in tutto questo?”, per evitare che tutto finisca nel peggiore dei modi. Il patriarca non ha nominato esplicitamente la guerra in Ucraina, ma alla luce degli “scambi di ruolo” provocati dalle altalenanti trattative, la sua esortazione sembra volersi rivolgere sia ai russi che agli ucraini, agli americani e agli europei, giungendo a una possibile riconciliazione “per evitare il peggio”.

I russi sono sempre stati convinti di essere dalla parte della ragione, e che la vittoria avrebbe dimostrato la sacralità della loro missione per salvare il mondo dalla depravazione. Il punto è che quando sembra che finalmente, nell’Anno della grande Vittoria, stia per concludersi trionfalmente questa “missione”, in Russia si sta diffondendo un’imprevista sensazione di smarrimento, di perdita della comprensione del “proprio ruolo” e delle conseguenze di tre anni di follia e tragedie, nell’incertezza del futuro che si sta disegnando. C’è il “senso della vittoria”, ma non si capisce bene in che cosa essa consista, come attestano vari sondaggi delle opinioni diffuse tra la popolazione russa, come quelli del centro Levada. Si confrontano le percentuali di consenso allo zar Putin, che oggi raggiungono il livello record dell’88%, come era accaduto nel 2008 per la vittoria contro la Georgia, e nel 2014 con l’annessione della Crimea, ma oggi non c’è un oggetto evidente, se non la certezza di avere ormai definitivamente conquistato i territori del Donbass, che del resto erano in gran parte sotto il controllo della Russia da ben prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

In generale, la sensazione della maggioranza della popolazione è quella di avere sconfitto l’intero Occidente, confortati dal voltafaccia americano, che con i proclami di Donald Trump sembra essersi piegato ai principi perseguiti e diffusi dalla propaganda e dalle “operazioni speciali” della Russia, in quello che viene ormai definito il Trump-Putinismo. La domanda che sorge però è “che cosa succede adesso?”. Se per gli ucraini il problema è riuscire a trovare accordi per la ricostruzione del Paese distrutto, e per le garanzie di sicurezza rispetto alle possibili riaperture del conflitto, i russi non sanno esattamente che cosa farsene della vittoria, tanto agognata finché si combatte, quanto priva di significato una volta ottenuta.

 

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