Articolo a firma di Liliana Ocmin (edizione odierna di Conquiste del lavoro)
L’approvazione in via definitiva, da parte del Senato, del disegno di legge che prevede “modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, meglio conosciuto come “codice rosso”, rappresenta un’occasione mancata per fare un salto di qualità a tutto campo nel contrasto alla violenza maschile sulle donne.
Diverse le novità introdotte, tra cui l’obbligo di riferire la notizia di reato al pubblico ministero, anche in forma orale per ragioni di urgenza, per i reati di violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo, atti sessuali su minori, su persona in condizioni di inferiorità fisica e/o psichica e per lo stalking. L’inasprimento delle pene è il filo conduttore che lega tra loro le diverse norme del provvedimento prevedendo, ad esempio, la condanna alla reclusione da 6 mesi a 3 anni per coloro che non osservano gli obblighi di allontanamento e i divieti di non avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima del reato, la formazione degli operatori di polizia e dei carabinieri, la sospensione condizionale della pena subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero, l’introduzione dell’art. 558-bis nel codice penale, che punisce con la reclusione da uno a 5 anni chi costringe altra persona a contrarre matrimonio o unione civile (da 2 a 7 anni se vittima minore di anni 14), la previsione della extraterritorialità per questo tipo di reato, se commesso all’estero da cittadino italiano o straniero residente in Italia, l’aumento del fondo in favore degli orfani di femminicidio, comprese misure di sostegno in favore delle famiglie affidatarie, l’introduzione dell’art. 612-ter che punisce con la reclusione da 1 a 6 anni la diffusione di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso della vittima (pena aumentata se commessi da coniuge, anche se separato, o compagno della vittima, o ai danni di persona in condizioni di inferiorità fisica o psichica), l’inasprimento pena, da 8 a 14 anni, per il reato di deformazione e lesioni permanenti al viso, da 6 a 12 anni di reclusione, anziché da 5 a 10, per i reati contro la sfera sessuale, aumentati di un terzo se commessi ai danni di minori di 14 anni.
Insomma, il tentativo di affrontare, attraverso l’introduzione di norme più specifiche, le diverse sfaccettature della violenza, soprattutto quella perpetrata sui bambini e le bambine o poco più, che come Cisl condanniamo con fermezza e anzi ci rammarichiamo che non sia stato previsto, in particolare per i matrimoni forzati, soprattutto tra adulti e minori di 13 anni, l’equiparazione con il reato di pedofilia, cosa che continueremo a sollecitare in tutte le sedi opportune, a partire dai tavoli istituzionali già aperti.
Come Coordinamento donne, pur apprezzando il riconoscimento della gravità di alcuni odiosi reati come il “revenge porn”, i matrimoni forzati, quelli relativi alla sfera sessuale e le lesioni permanenti al viso, introducendo pene più severe, riscontriamo alcune criticità che avevamo già avuto modo di segnalare in precedenza, in audizione, durante il passaggio del testo alla Camera. Ad esempio, l’obbligo di ascolto della vittima entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, secondo noi, può trasformarsi in un’arma a doppio taglio che, oltre ad intasare le procure, rischia di produrre una sorta di vittimizzazione secondaria della donna, in un momento molto delicato in cui invece dovrebbe essere garantita la sua sicurezza al fine di favorire l’atto della denuncia e prevenire eventuale revoca della stessa.
Così come riteniamo non appropriata la collocazione di un Osservatorio in materia presso il Ministero di Grazia e Giustizia, in quanto porterebbe soluzioni solo a livello repressivo, mentre l’impegno che stiamo portando avanti è anche di natura culturale, con un approccio olistico comprendente Prevenzione, Protezione, Punizione e Politiche integrate, in linea con gli obiettivi del Piano nazionale sulla violenza maschile contro le donne. Per quanto riguarda la formazione degli operatori di polizia e carabinieri, è necessario che venga coinvolto il sindacato e che tale formazione sia demandata e rientri in quella prevista dalla contrattazione collettiva, come sottolineato più volte nelle preposte linee guida. La partecipazione, inoltre, dell’autore del reato ai corsi per la prevenzione della recidiva, come stabilito nella Convenzione di Istanbul, è importante ma ciò non deve pesare sui fondi destinati alle vittime e non deve costituire alcuna forma di attenuante; esso potrebbe rientrare nelle attività del Servizio Sanitario Nazionale.
Alcuni passi importanti si, dunque, ma necessariamente da migliorare per una prevenzione ed un contrasto più efficaci della violenza contro le donne, i bambini e le bambine.