Quanto a te, madre, un saluto
qui, nerissimo inchiostro su carta.
Sai che acqua limpida di nevaio
mi scorre in fondo al cuore: è la mia
devozione per te, piccola
e immensa fanciulla di Galilea,
poi sposina, poi giovane mamma,
poi sposa e madre sempre più matura
e consapevole e afflitta e coraggiosa,
che tante cose meditava nella sua
cristallina coscienza.
Ti vedo anche dopo,
superate le ore orrende del Golgota,
in compagnia del tuo figlio secondo, l’aquilotto
Giovanni, il fedele, il tenero, il genio.
E tu sul mare di Efeso, in attesa di un’ora
che non immaginavi, ma che tu
sola potevi immaginare.
Ora lassù, in una luce che nessuno
concepisce se non vedendola,
non hai perso un filo della tua tenerissima,
ferma, trepida, sorridente maternità.
lo ti parlo, quaggiù, come alla buona
dirimpettaia, come alla suora
mistica e casalinga, alla poetessa
tutta fuoco e sorriso, alla mammina
che capisce e che compatisce tutto.
Sei anche l’unica, la incoronata
regina, la sposa dello Spirito.
Lo so, e ne gioisco. Ma lo eludo
per non intimidirmi. È il sottofondo
dorato alla tua piana, cara affabilità,
e questa sola mi permette
di parlarti e invocarti
nella mia orgogliosa miseria.
Ne sorridi, signora?
Dimmi che ne sorridi,
o mi metto vergogna.
Italo Alighiero Chiusano