Un eccesso di impunità e forse un eccesso di spirito punitivo. Da una parte il Presidente americano, che mostra tutta l’intenzione di voler fare a meno di quei contrappesi istituzionali che regolano la democrazia d’oltreoceano. Dall’altra l’ex presidente francese assicurato alle patrie galere e oggetto dello scherno degli altri detenuti.
Sono due esempi degli eccessi a cui può portare la disputa politico-giudiziaria.
Il precedente americano
Non è una novità che Trump non tenga in gran considerazione le norme dello Stato di diritto. La cosa s’è già vista poco più di quattro anni fa, quando fu dato l’assalto al Campidoglio da parte dei suoi sostenitori più scatenati. Crimine dal quale essi furono poi prontamente graziati (e magari perfino ringraziati da chi li aveva mandati allo sbaraglio).
Il caso francese
Mentre è nuova, e del tutto inedita, la reclusione di un ex presidente europeo, sulla base di accuse che non sta a noi giudicare, ma che pure destano un minimo di scalpore. Se non altro, perché si tratta di una prima volta.
Il riflesso italiano
Tutto questo non dovrebbe riguardare le dispute politiche di casa nostra. Almeno al momento. Ma ora che sembra sempre più inesorabile il cammino che ci conduce verso il referendum sulla riforma meloniana, qualche domanda dovremo pur farcela. E cioè se sia ancora possibile tracciare una linea di separazione tra la disputa politica e l’esito delle vicende giudiziarie. Oppure se il nostro destino sia quello di litigare all’infinito su queste controverse materie. Che poi, se lungo questo tormentato confine non siamo solo noi a litigare, resta una magra consolazione.
Fonte: La Voce del Pololo, 30 ottobre 2025.
Articolo qui riproposto per gentile concessione dell’autore e del direttore del settimanale della diocesi di Brescia.


