La liberazione di Roma dall’occupazione tedesca e dalla temeraria riusurpazione fascista se ha ridonato all’Italia la sua Capitale, segna soltanto una tappa nel doloroso calvario della libertà.
La guerra totale che ha finora infuriato, devastandole, su intere regioni centro-meridionali si spinge feroce e spietata nel resto della Penisola che la «tedesca rabbia» in rinnovato furore si appresta a distruggere col pretesto di una difesa né desiderata né chiesta e che invece rivela il proposito di punirla di un preteso tradimento.
Non sarà mai dai tedeschi che accetteremo lezioni di onore. La loro storia antica e recente è puntata di imprese brigantesche e di criminali aggressioni che sono sempre seguite a pubblici impegni e a solenni contrarie assicurazioni.
Dobbiamo in ogni caso proclamare che l’alleanza e la guerra nazi-fascista non furono mai volute dal popolo italiano, ma dal regime e dal suo dittatore che in ogni occasione definirono alleanza e guerra partigiane e faziose perchè entrambe unicamente legate all’amicizia dei due capi responsabili e all’affinità delle due dittature, piantate come coltelli nel cuore delle due disgraziate Nazioni.
Il popolo italiano fu estraneo all’avventata rivoluzione. Col ricatto, con la minaccia e con la menzogna, che furono le armi costantemente preferite dal regime, gli fu imposto di combattere per una causa che non era la sua e quando il 25 luglio 1943 poté finalmente disfarsi del tiranno e dei suoi pretoriani impose ai nuovi governanti l’unica soluzione logica dell’evento: ritirarsi dalla lotta ormai vana perché la Nazione non precipitasse più oltre nell’abisso cui l’aveva sospinta la tragica avventura.
Questa decisione non piacque al fanatico assertore del diritto della sua razza al dominio del mondo e, rievocato il fantasma di un duce già sommerso nell’esecrazione universale, ha fatto calare le sue orde in Italia per depredarla di cose e di uomini e per ridurla alla condizione di un’autentica «terra bruciata».
Il nostro posto è venuto così automaticamente a trovarsi sull’altro fronte, quello stesso che il Popolo Italiano avrebbe scelto se fosse stato libero nella sua determinazione e che è il fronte della libertà e della democrazia non solo per l’Italia ma per tutti i popoli oppressi, ormai serenamente schierati in linea di ferro e di acciaio contro i naturali distruttori di focolari e di civiltà.
Salutiamo quest’alba di risurrezione con un pensiero e con un proposito solo.
Pensiero di riconoscimento agli alleati che hanno reso possibile l’evento di gloria e di vittoria, pensiero di ammirazione verso i patrioti di ogni partito che in circostanze disperate vi hanno efficacemente concorso.
Proposito di unire le forze dei fratelli ormai liberi per la comune liberazione.
Tacciano i dissensi e si plachino le opposte divergenze. Diamo prova di unità, di dignità, di fermezza.
GIl alleati, verso i quali andarono e vanno la nostra simpatia ci guideranno dal nostro atteggiamento e dalla nostra capacità a rifare la nostra storia. Verrà l’ora della ricostruzione. A questa, nei suoi aspetti morali, sociali e politici armonicamente convergenti verso il raggiungimento di un’autentica democrazia del lavoro, noi democratici cristiani saremo fieri di consacrare in generosa dedizione il meglio dello nostre energie.
Ma in questo supremo momento l’arco della nostra volontà deve tendere e scoccare verso il supremo compito, cui ogni altro sia subordinato e sacrificato; l’espulsione dei tedeschi e dei traditori dal sacro suolo della Patria!
Solo così potremo congiungerci idealmente ai martiri del Risorgimento e agli eroi di Vittorio Veneto, mostrarci degni del loro sacrificio e del loro olocausto, riprendere il faticoso e incruento cammino della Storia, da cui più di venti anni di oscuro e duro servaggio ci hanno sequestrato.