Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
sono lieto di accogliere i partecipanti al Congresso Annuale dell’Unione Ciclistica Europea, che, in questa occasione, ospita anche l’Assemblea della Confederazione Africana di Ciclismo. Saluto, in particolare, il Presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale, il Sig. David Lappartient, e lo ringrazio per le parole che ha voluto rivolgermi.
Il rapporto tra Chiesa e sport ha una lunga storia e, nel tempo, si è sempre più consolidato. Lo sport può rivelarsi di grande aiuto per la crescita umana di ogni persona perché stimola a dare il meglio di sé, in vista del raggiungimento di una determinata meta; perché educa alla costanza, al sacrificio e alla rinuncia. Pensiamo, ad esempio, ai lunghi e impegnativi allenamenti o all’osservanza di una esigente disciplina di vita. La pratica di uno sport poi insegna a non scoraggiarsi e a ricominciare con determinazione, dopo una sconfitta o dopo un infortunio. Non di rado diventa l’occasione per esprimere con entusiasmo la gioia di vivere e la giusta soddisfazione per aver raggiunto un traguardo.
Il ciclismo, in particolare, è uno degli sport, che mette maggiormente in risalto alcune virtù come la sopportazione della fatica — nelle lunghe e difficili salite —, il coraggio — nel tentare una fuga o nell’affrontare una volata —, l’integrità nel rispettare le regole, l’altruismo e il senso di squadra. Se, infatti, pensiamo a una delle discipline più diffuse, il ciclismo su strada, vediamo come durante le gare tutta la squadra lavora unita — gregari, velocisti, scalatori — e spesso deve sacrificarsi per il capitano. E quando un compagno attraversa un momento di difficoltà, sono i suoi compagni di squadra a sostenerlo e ad accompagnarlo. Così anche nella vita è necessario coltivare uno spirito di altruismo, di generosità e di comunità per aiutare chi è rimasto indietro e ha bisogno di aiuto per raggiungere un determinato obiettivo.
Tanti ciclisti sono stati di esempio, nello sport e nella vita, per la loro integrità e coerenza, dando il meglio di sé in bicicletta. Nella loro carriera hanno saputo coniugare fortezza d’animo e determinazione nel raggiungere la vittoria, ma anche solidarietà e gioia di vivere, a testimonianza di aver scoperto quelle potenzialità dell’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, e la bellezza di vivere in comunione con gli altri e con il creato. Gli atleti hanno questa straordinaria possibilità di trasmettere a tutti, soprattutto ai giovani, i valori positivi della vita e il desiderio di spenderla per obiettivi alti e nobili.
Questo ci fa capire l’importanza, per chiunque pratica uno sport — dai praticanti occasionali, agli amatori, ai professionisti — di saper vivere sempre l’attività sportiva a servizio della crescita e della realizzazione integrale della persona. Quando, al contrario, lo sport diventa un fine in sé e la persona uno strumento al servizio di altri interessi, ad esempio il prestigio e il profitto, allora compaiono disordini che inquinano lo sport. Penso al doping, alla disonestà, alla mancanza di rispetto per sé e per gli avversari, alla corruzione.
Vorrei anche dire una parola sulle nuove specialità, nell’ambito del ciclismo, che si diffondono fra le nuove generazioni e che, come tutte le novità, possono suscitare resistenze e rappresentare una sfida per le discipline più tradizionali. Anche per voi vale l’impegno che la Chiesa ha assunto di volere ascoltare i giovani, di prendere a cuore le loro attese, i loro modi di esprimere il desiderio di vivere e di realizzarsi. È necessario accompagnare le nuove generazioni senza perdere di vista le sane tradizioni e la cultura popolare che, in tanti paesi del mondo, accompagnano il ciclismo e i suoi campioni.
Vi auguro, in questi giorni di incontro, un proficuo lavoro e, mentre vi chiedo di pregare per me, di cuore vi benedico. Grazie.