Come qualcuno ha ricordato, quell’opera d’arte è stata più volte ricostruita e così potrà essere ancora. Gli strumenti della tecnologia e della tecnica certamente oggi lo consentono più che nei secoli passati.
In realtà, ciò che colpisce è qualcosa di più profondo e simbolico.
È andata a fuoco una icona dell’Europa e del cristianesimo europeo. Ed è accaduto in uno dei momenti di maggiore loro debolezza.
Una Europa vecchia, stanca, divisa, marginale nel mondo, spiazzata dai cambiamenti antropologici, economici e geopolitici. Impaurita dai fenomeni migratori. Incapace di esercitare un qualsiasi ruolo sui quadranti di crisi che stanno alle sue stesse porte. Una Europa priva di guide morali prima che politiche.
E un cristianesimo che appare a sua volta stanco e col fiato grosso di fronte alla nuova inquietante “modernità” che lo sta scuotendo nelle radici etiche e culturali. Fino al punto di far emergere – nel documento diffuso qualche giorno fa dal Pontefice Emerito – crepe e distinzioni di proporzioni fino ad ora mai viste, assieme alla tentazione del rifugio in un mitizzato e rimpianto passato pre-conciliare.
Quelle fiamme che tutto il mondo ha seguito in diretta sono la cifra simbolica di un dilemma che dovrebbe scuotere le nostre coscienze.
Che futuro ci aspetta senza la casa comune europea? E quale impalcatura culturale e morale -al di là degli aspetti strettamente religiosi – potrà sorreggere le nostre comunità alle prese con i nuovi scenari tecnologici e sociali, se non quella dell’umanesimo cristiano?
Quali sono le alternative?
Non ci sono solo il tetto e la guglia di Notre Dame da ricostruire e rinnovare, ma tutto ciò che quella Cattedrale ha rappresentato nella nostra storia comune.