La sensazione che si avverte osservando il vasto e variegato contesto politico italiano è quella dell’“inesorabilità”. Sembra cioè che osservatori, ma anche attori, politici si pongano in rapporto con gli eventi come si sta di fronte a una valanga. Lo stravolgimento degli equilibri politici è accelerato a tal punto che ci si sente impreparati e inermi. La velocità e l’imprevedibilità del cambiamento è evidente. Qualcuno fa notare per esempio che dal 2014 ad oggi si sia passati da 16 regioni di sinistra contro 3 di destra a 7 di sinistra contro 12 di destra. Su questa traiettoria il sorpasso in Umbria è stato un vero e proprio trionfo della Lega, che ha travolto il centro-sinistra. Tutto ciò motiva uno stato di shock, e quasi di passiva rassegnazione di tutte le parti “sconfitte”.

Bisogna però chiedersi quanto fatalismo sia lecito ancora concedersi in questo momento. Cioè bisogna chiedersi se non sia proprio il disincanto diffuso già da tempo nel mondo della politica ad aver provocato le ormai numerose sconfitte degli epigoni (chiamarli eredi sarebbe troppo) dei partiti tradizionali repubblicani. Quel disincanto è ispirato dal modo di leggere la transizione politica, economica, sociale, antropologica che si sta vivendo così convulsamente; non dalla transizione come tale, ma dalla sua lettura secondo una mentalità vecchia, o meglio, ancora immatura. Sembra un paradosso, ma la malinconia ancora diffusa nel mondo di sinistra, in certo mondo liberale e anche in quello popolare e cattolico non è semplicemente un sintomo di un pensiero “datato” e “inattuale”, perché l’inattualità di per sé potrebbe essere anche rivoluzionaria. Il punto è l’immaturità politica. Cioè il punto è che la mentalità cristallizzata nei bei tempi andati non è solo vecchia, ma anche non cresciuta, non al passo con una doverosa presa di coscienza. Il vecchio uomo della democrazia dei partiti di massa non rischia solo di invecchiare (che è fisiologico), ma di rimbambire (che è patologico), cioè letteralmente di ritornare bambino, a uno stato di innocente passività.

Si troverà la forza di riconoscere gli errori commessi? Di ripensare realisticamente l’attuale equilibrio politico svuotando alla base l’impeto dell’avanzata reazionaria e sovranista? Alla base, cioè partendo dalle persone, dalle loro legittime esigenze e dall’orientamento dei loro desideri, che è sempre in qualche modo politico. In Emilia e in Calabria non si potrà più competere con vecchi strumenti, c’è bisogno di un coraggio diverso, di una visione chiara, di una definizione chiara della propria identità e delle conseguenti alleanze. In questo senso il pensiero politico cattolicamente ispirato può aiutare a leggere in modo dinamico le forze politiche in gioco: i cattolici possono invitare il PD a una nuova presa di coscienza e ridefinizione del suo ruolo e della sua identità, ma anche seguire con interesse il M5S nella sua parabola di istituzionalizzazione e di chiarificazione di intenti. Il tutto in perfetta autonomia. Anche denunciando l’ipocrisia fisiologica e oggi patologica che pervade ogni forza politica, chi si sente popolare oggi ha in compito di esprimere critiche puntuali e serie all’attuale governo e al precario equilibrio su cui regge; critiche tanto sincere quanto costruttive, che mirino nel breve periodo a un chiarimento di idee degli orizzonti da contrapporre con forza alla prospettiva regressiva delle destre. Nel lungo periodo, l’obiettivo è che si miri a una rappresentazione più fedele della società italiana: non siamo un popolo diviso in “reazionari” e “confusi”. Siamo un popolo che tiene insieme tante differenze (proporzionalmente rappresentate), e che come casa comune ha un sistema costituzionale e un compito comune: vivere umanamente la nuova epoca in cui ci troviamo.