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lunedì, 24 Novembre, 2025
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Dorothy Day: «Non mi banalizzate cercando di fare di me una santa»

Nell’udienza giubilare dell’altro ieri, il Papa ha citato la fondatrice dei Catholic Worker Movement. Per gentile concessione dell’autrice, presentiamo uno stralcio delle conclusioni del suo libro “Doroty Day. Le scelte dell’amore”, Lateran University Press, 2011.

[…] Dorothy si è donata completamente agli altri, senza risparmiare le forze, nella convinzione che quella fosse l’unica via per rendere il mondo migliore e dare un’altra possibilità a chi non aveva più nulla. Attivissima dal punto di vista sociale, ha girato in lungo ed in largo gli Stati Uniti predicando la pace, l’amore e la giustizia. È arrivata persino a Roma negli anni centrali del Vaticano Il per dare il suo contributo di laica impegnata, in una Chiesa dove “ufficialmente” i laici non avevano ancora ritrovato il loro posto, battendosi – con le armi della preghiera, del digiuno e della parola – perché i padri conciliari prendessero a cuore il problema della pace e degli armamenti. Nel suo “pellegrinaggio romano” non è sola, ma porta con lei altre donne, di ogni credo e stato sociale, facendosi rappresentante di una ecumenicità che oggi è uno dei temi più importanti affrontati dalla Chiesa cattolica.

Ma non dobbiamo pensare che in Dorothy Day tutto sia stato affrontato nella dimensione pragmatica: in lei, infatti, è molto forte anche una visione “trascendentale” della vita, nella quale si perde quotidianamente, coltivando una forte vita di preghiera e sacramentale, di cui non può fare più a meno dal momento in cui sceglie di diventare cattolica. Coltiva con impegno la sua vita spirituale appellandosi a Dio in ogni momento, “Lui, la sua speranza fin dalla giovinezza”.

Nella sua vita ritroviamo la semplicità propria di ogni persona. La sua spiritualità infatti, è spiritualità del quoti-diano, delle cose semplici realizzate con amore, totalmente evangelica e priva di fatti eclatanti e di quelle manifestazioni mistiche “classiche” (estasi, visioni, stimmate e così via). Dorothy Day vive una “mistica del quotidiano” che non è godimento di particolari grazie, ma l’esperienza di grazia quotidiana nella quale ogni cristiano si ritrova a vivere una vita trasfigurata in Cristo. Essere mistici significa accettare di vivere con Dio e svolgere il proprio apostolato secondo l’amore che ci muove verso l’azione e la contem-plazione. E Dorothy Day ha vissuto una forte dimensione contemplativa cercando e trovando Dio in tutte le cose, come insegna Ignazio di Loyola, ma specialmente nella natura e nelle persone. Osservando il suo volto possiamo cogliere in lei i tratti caratteristici della persona che “guarda al di là” delle cose che vede. Il suo sguardo è molto parti-colare, profondo; i suoi occhi sembrano scrutare il fondo di ogni anima per cercarvi tutto il bene che Dio vi ha depositato, occhi che, già verso la metà degli anni trenta, sono depositari di una dolcezza e di una pace propria di chi ha trovato il suo posto nel mondo e lascia riposare il cuore in Dio. 

La sua carità non ha lasciato indifferente nessuno di quelli che l’hanno conosciuta. E neppure la sua caparbietà nell’affrontare spinose questioni politiche o quando ha criticato apertamente la Chiesa e le sue ricchezze. Così pure la sua umiltà ha lasciato un segno molto profondo nella Chiesa americana. Tutto ciò che ha fatto, lo ha fatto per amore e non si è mai sentita superiore a nessun altro cattolico che, come lei, ha compiuto il proprio dovere. A chi accenava alla sua santità rispondeva: «Non mi banalizzate cercando di fare di me una santa».

 

Caterina Ciriello

Nata a Sessa Aurunca (Caserta), è docente di Storia della spiritualità e Storia della vita consacrata presso la Pontificia Università Urbaniana, e docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino.