La sera dei risultati elettorali del 2013, mi ero recata alla Casa della Architettura dove il Pd aveva deciso di attendere il responso degli Italiani. Fu una triste serata e non appariva nessun dirigente del Pd per i commenti di una debacle. Molto tardi si affacciò il vice segretario Enrico Letta che affermo’ con molto garbo che il Pd prendeva atto dei risultati e che nei giorni successivi sarebbero stati analizzati con l’intento di verificare le collaborazioni possibili, anche con 5S tenendo conto del loro successo.

Sappiamo come è stato il confronto in streaming fra la delegazione 5S e Bersani. Penso che la delegazione di allora potrebbe arrossire ora, dopo la esperienza governativa. Quella sera alla Casa della Architettura mi capitò di essere l’unica rappresentante Pd e fui quindi assediata dalle TV, molte erano estere, per commentare il risultato che i più commentavano come prodromo a ‘ribaltare’ la tradizione parlamentare: finalmente i grillini avrebbero realizzato l’attacco alla casta. Modestamente mi azzardai a spiegare che avevamo già assistito all’ingresso in Parlamento di forze nate sull’onda di un populismo che voleva espugnare ‘Roma ladrona’ ma che, come allora, si sarebbe verificato lo stesso fenomeno, perché le istituzioni piegano con le loro regole anche chi vuole sentirsi estraneo e diverso. “Innamoramento e amore, movimento e istituzione”, un famoso testo di Alberoni. I grillini hanno potuto mantenere una certa coerenza coi loro proclami anti casta e populisti fino a quando non hanno dovuto assumere l’onere di governare. Per governare hanno dovuto tutti pagare uno scotto alle loro ‘granitiche’ convinzioni ideologiche. E questa ‘volatilità‘ dei partiti ha causato una crisi quasi istituzionale cui il Presidente Mattarella ha cercato di porre un freno incaricando come capo del governo una personalità di assoluta credibilità anche a livello internazionale. Quasi un azzardo del Presidente lanciare l’uomo più noto a livello internazionale. Non c’è un’altra scelta dopo di lui, se non le elezioni. Una scelta di grave censura della politica politicante che non ha saputo volare alto, impegnata in una campagna elettorale continua. Inaccettabile inconcludenza dei partiti.

Mario Draghi,, con tutta la sua carriera e quindi con la sua vita personale, iincarna una lezione che imparai dal suo sponsor, Carlo Azeglio Ciampi, e cioè che la fiducia non è una parola generica e cerimoniosa ma un bene immenso in economia. All’inizio di ogni consiglio dei ministri ci indicava a che punto era l’asticella della credibilità italiana sui mercati. Qualche anno fa anche gli Italiani hanno dovuto imparare a conoscere il significato di una strana parola, lo spread. Si pensi che nel giorno in cui fu incaricato Draghi lo spread – a 93 punti – ci ha fatto risparmiare oltre 300 milioni di interessi del nostro debito. Lo spread tocca i soldi dei cittadini! L’attuale situazione non va vissuta come una parentesi: concluso il governo Draghi, eletto il Capo dello Stato e affrontate le elezioni politiche tutto tornerà come prima, perché nel frattempo anche tutti i ‘dilettanti’ avranno imparato a fare politica… Gli Italiani vorranno continuare a contare sui competenti, umili, coraggiosi, che parlano poco e solo quando serve, senza bulimia di social. Oso auspicare, scommettere anzi, che col governo Draghi si sia voltata pagina anche per recuperare l’apprezzamento della politica e la nobiltà della funzione di rappresentanza democratica. Anche se chiedere ai tecnici di supplire la politica suona come un commissariamento e una alterazione delle regole della rappresentanza, proprio Draghi, col discorso programmatico, ha voluto sottolineare il ruolo insostituibile della politica.

Il governo Draghi si è formato con un impeccabile percorso costituzionale; il presidente Mattarella ha rispettato pienamente l’art. 92 ed anche l’art. 95 è stato seguito alla lettera. Al rispetto della forma si è accompagnato uno stile ‘istituzionale’ di sobrietà, di comunicazione essenziale. Speriamo venga acquisito e mantenuto da tutti. Gli Italiani sono stanchi di sguaiatezze, di continuo chiacchiericcio via social e talk show. Ricchi più che di notizie di contraddizioni e smentite, senza pudore. La politica è ascolto. Altra nota di stile: Draghi ha seguito il dibattito senza avere nemmeno davanti, posato sul tavolo, il cellulare (anche alcuni ministri: controllare le foto). È stucchevole notare come i ministri seduti al tavolo del governo non smettono mai di ‘smanettare’. Mi pare di riconoscere lo stile, che fu anche di Ciampi, nel comunicare. Era affidato solo a Paolo Peluffo riferire dichiarazioni ufficiali. I consigli dei ministri erano puntuali e di giorno. (Mio papà mi rimproverava che i politici facessero notte: “figli delle tenebre. Non portano niente di buono le tenebre”. Solo per la finanziata 1994 facemmo notte ed ebbi la mia parte perché mi impuntai nel respingere un aumento di tassa per la sanità a carico degli autonomi (che cercano di evitare il più possibile di ammalarsi). È tempo di silenzio e dovere della unità. Esemplare un
comportamento come quello di Salvini e Zingaretti che si sono incontrati – avversari per vocazione!- per definire come mettere in sicurezza il Paese.

La ‘Grosse Koalition’ non impedisce di essere riconoscibili nei propri profili, al momento delle elezioni da parte dei loro elettori. Si studino i precedenti tedeschi. Altro che contratti o patti! Governare è potere di decidere e non si può confondere l’arte del governare con quella di guadagnare voti. Il popolo sceglie i suoi rappresentanti ma non decide chi deve decidere.

Uno non vale uno: si apprezzerà la competenza, la pazienza e il coraggio. È inaccettabile (e immorale) imparare a fare il ministro cammin facendo, sulla pelle degli Italiani (anche nel governo Letta). La selezione della classe dirigente rimane un tallone d’Achille per i partiti, i quali rinviano continuamente la legge attuattiva dell’art. 49 della Costituzione. Inoltre bisognerebbe sempre seguire la strada maestra imboccata questa volta, per causa di forza maggiore, che invece è indice di serietà, trasparenza e rispetto delle istituzioni e del voto dei cittadini, non inserendo nel governo i segretari nazionali dei partiti (verrebbe meno la dialettica fra governo ed elettori), non chiamando, da altre posizioni candidati che stanno svolgendo un mandato. Chi ha una carica, completi il mandato! Altrimenti è carriera personale e non servizio al bene comune. Le sfide che il governo ha di fronte sono molte ma c’è un contesto che può favorire le soluzioni. Draghi sul piano europeo e internazionale rappresenta una garanzia perché a Berlino, come a Parigi o a Washington sono noti i risultati ottenuti nella sua carriera nei diversi organismi. Mantenere l’Italia, Paese fondatore, significa rafforzare (riprendere) la naturale nativa alleanza con Francia e Germania, ora Macron e Merkel. L’Italia, ha bisogno di più Europa, come tutti i partner: la Federazione dei nostri Stati, piccole patrie che formano una grande patria. Alle generazioni future di figli e nipoti, dobbiamo la realizzazione compiuta del sogno dei fondatori, gli Stati Uniti d’Europa, perché sia per competere che per allearsi occorre essere grandi! I competitor sono Russia, Cina, USA. Con l’alleato di sempre e membro della NATO, dopo l’elezione di Biden, sarà produttiva la nostra politica multilaterale, dopo alcune recenti sbandate. Abbiamo dovuto perfino assistere al blocco di parlamentari italiani al confine con la Bosnia da parte della Croazia!

Per i governi dovrebbero essere banditi due modi verbali per indicare gli obiettivi, il condizionale e il futuro: si dovrebbe, faremo… Si indichino gli strumenti, i tempi, i finanziamenti. Si dovrebbe chiedere conto a chi non fa e perché. Sono solita ricordare gli 8  anni per costruire l’autostrada del sole da Milano a Napoli. L’opera costò quasi 300 miliardi di lire e fu consegnata, senza aumenti di prezzi, con tre mesi di anticipo. Oggi abbiamo anche il ‘modello Morandi’.

Le infrastrutture di interesse nazionale per lo sviluppo non possono essere soggette ai poteri locali. La celerità nelle realizzazioni non dipende solo dalle modalità di organizzazione del lavoro ma anche dai conflitti fra istituzioni (ricorsi ai TAR, ai Consiglio di Stato, blocco per accertamenti magistratura, liti fra concorrenti degli appalti, ecc.). Se ciascuna istituzione si dedicasse alle proprie competenze agevolerebbe molto i cittadini, richiedenti servizi e diritti. Oltre alle sfide, difficili in sé, l’attuale governo interseca delle scadenze un pò sfasate, e tali da creare fibrillazioni pericolose nell’interesse del Paese. Il Recovery fund, ricordato da Draghi come strumento e occasione straordinari per sostenere la speranza per le future generazioni – Next generation eu – ha bisogno di riforme che utilizzino i circa 210 miliardi di euro, che non possono essere a buon punto di implementazione fra sei mesi, quando ci saranno le elezioni amministrative; ne’ entro il semestre bianco, nel caso che i partiti, dopo i risultati delle amministrative, volessero chiedere le elezioni anticipate; come pure entro il febbraio 2022 quando si dovrà eleggere il Capo dello Stato. Serve completare almeno la legislatura. Questo governo si è costituito ‘per dovere’ verso il Paese, e i cittadini non premieranno le forze politiche che lo facessero cadere.

Draghi si è formato in una scuola che ha come motto “Cunctando resistunt”.
E’ un auspicio anche per questo governo e questo parlamento, che hanno “il dovere della unità” e “la responsabilità della ricostruzione”