Sono piovuti applausi da più parti, eppure Draghi non ha dato indicazioni più stringenti rispetto a quanto aveva scritto tempo fa nel Rapporto sulla competitività. Il suo invito rispecchia un sentimento politico – più unità per avere più Europa – ma non si carica di un vero e proprio compito politico. In certi passaggi, la relazione al Meeting di Rimini è sembrata una forma di esortazione, anche se fondata su un’analisi robusta. Ora, gli applausi hanno valore se mettono in moto convincenti reazioni; invece, ad un esame provvisorio, niente lascia intendere che sia partita la ricerca di una risposta vera alle parole sferzanti di Draghi.
L’Europa spettatrice delle crisi internazionali
“L’Europa è stata spettatrice anche quando i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro di Gaza si intensificava”. È uno dei passaggi più forti dell’intervento di Mario Draghi, accolto da lunghi applausi. L’ex premier ha sottolineato come, nonostante l’Unione abbia dato il maggior contributo finanziario alla guerra in Ucraina, il suo ruolo nei negoziati per la pace sia stato finora marginale.
Per questo ha chiesto di trasformare lo “scetticismo in azione” e di farlo subito: “Ora, quando abbiamo ancora il potere di disegnare il nostro futuro, non quando le circostanze saranno divenute insostenibili”.
Lo scetticismo e le illusioni evaporate
Secondo Draghi, l’Unione europea ha per anni confidato che la sua dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, le garantisse potere geopolitico. Oggi quell’illusione è svanita. Da un lato, i dazi americani; dall’altro, la Cina, che non considera l’Europa un partner alla pari e sfrutta il controllo delle terre rare per accrescerne la dipendenza.
Non sorprende dunque che lo scetticismo verso l’Europa abbia raggiunto nuovi picchi. Ma, ha avvertito l’ex presidente della Bce, questo non è uno scetticismo sui valori fondativi dell’Unione – democrazia, pace, libertà, indipendenza, prosperità – bensì sulla sua capacità di difenderli.
Un appello senza sbocco politico
Draghi ha ricordato che i modelli di organizzazione politica devono sapersi adattare ai cambiamenti storici, pena l’irrilevanza. Tuttavia, la sua diagnosi e il suo invito restano sospesi in una dimensione di pura riflessione.
E qui si torna al punto di partenza: per dare seguito alle sollecitazioni di Draghi bisognerebbe mettere in campo un “partito di Draghi”. Lo si è evocato in passato, con esito negativo; lo stesso parrebbe profilarsi oggi qualora si riproponesse l’idea. Forse è bene che sia così, sapendo però che in assenza di uno “sbocco politico” il discorso di Draghi resta solo… un bel discorso.