Roma, 1 dic. (askanews) – Il tennis italiano piange la sua icona storica. È morto a 92 anni Nicola Pietrangeli, unico tennista italiano inserito nella Hall of Fame del tennis mondiale.
E’ ancora oggi il primatista mondiale di tutti i tempi in Coppa Davis per partite giocate (164), incontri vinti in singolare (78-32) e in doppio (42-12). Ha formato con Orlando Sirola la coppia più vincente di sempre nella manifestazione (34 successi in 42 partite) ma l’ha vinta solo da capitano, nel 1976. Il suo merito maggiore, ha sempre dichiarato, è stato l’aver portato l’Italia in Cile, aver vinto la partita sul piano diplomatico e politico contro chi spingeva per il boicottaggio come forma di protesta contro il regime del generale Augusto Pinochet.
Nicola Pietrangeli, scomparso a 92 anni, è stato per decenni il volto internazionale del tennis italiano. Unico azzurro inserito nella Hall of Fame, resta tuttora il primatista assoluto di Coppa Davis per partite giocate (164), vittorie in singolare (78) e in doppio (42). Con Orlando Sirola ha formato la coppia più vincente nella storia della competizione, senza però mai vincerla da giocatore: il trionfo arrivò da capitano nel 1976, in Cile, dopo settimane di pressioni politiche e dibattiti pubblici sul boicottaggio del regime di Pinochet. Pietrangeli difese la scelta di partire sostenendo che la sua vittoria più complessa fosse stata proprio “diplomatica”.
Figura simbolo della Dolce Vita romana, protagonista di un’epoca in cui il tennis si misurava attraverso il giudizio dei cronisti, Pietrangeli è stato considerato tra i primi dieci giocatori al mondo dal 1957 al 1964. Ha conquistato due Roland Garros consecutivi, nel 1959 e nel 1960, diventando il primo italiano capace di vincere uno Slam. Due anche i titoli agli Internazionali d’Italia e 48 i trofei complessivi in carriera, a cui si aggiungono l’oro ai Giochi del Mediterraneo di Napoli nel 1963 e la medaglia di bronzo nel torneo dimostrativo ai Giochi di Città del Messico nel 1968. “Se mi fossi allenato di più avrei vinto di più, ma mi sarei divertito di meno”, amava ripetere.
I successi parigini rappresentano il nucleo della sua grandezza. Nel 1959 batté in finale il sudafricano Ian Vermaak, in un periodo in cui il suo nome compariva sui giornali non solo per il tennis ma anche per la vita mondana; nel 1960 superò il cileno Luis Ayala al termine di una partita logorante, chiusa con i piedi sanguinanti. In doppio, sempre a Parigi, lui e Sirola vinsero la finale governando contro Fraser ed Emerson, futuri dominatori della specialità.
Nel 1960 raggiunse anche la semifinale a Wimbledon, arrendendosi a Rod Laver dopo cinque set. Pochi giorni dopo rifiutò l’offerta di Jack Kramer per entrare nel circuito professionistico: la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Roma lo convinse a restare dilettante, scelta che definì determinante per la sua vita.
Anche gli Internazionali d’Italia hanno segnato la sua storia. Vinse per la prima volta nel 1957, poi di nuovo nel 1961, battendo Rod Laver in una Torino gremita per il Centenario dell’Unità d’Italia. Quel torneo consolidò il suo rapporto unico con il Foro Italico, che porta oggi il suo nome.
In Coppa Davis, Pietrangeli rimane un riferimento storico. Debuttò diciottenne e per vent’anni giocò un numero di incontri oggi irraggiungibile. Trascinò l’Italia nelle finali del 1960 e 1961, perse entrambe contro l’Australia, e lasciò la nazionale solo a 39 anni, dopo una vittoria in doppio in coppia con Adriano Panatta.
Il titolo del 1976, vinto da capitano, rimane uno degli episodi più discussi nella storia sportiva italiana. Tra contestazioni politiche, minacce e pressioni pubbliche, la squadra partì comunque per il Cile. L’Italia vinse nettamente, ma al ritorno non ci furono celebrazioni ufficiali: Pietrangeli raccontò di aver dormito con la Coppa Davis nel letto di casa per proteggerla.
Raccontato da tecnici e colleghi come talento imprevedibile, capace di alternare colpi geniali a passaggi a vuoto, Pietrangeli ha segnato un’epoca. Jaroslav Drobný, tre volte campione Slam, scrisse che “in lui ha sempre prevalso l’essere umano sulla macchina perfetta”, ricordando la sua capacità di incantare il pubblico anche nelle giornate meno felici. Un tratto che spiega perché, più di sessant’anni dopo i suoi successi, il suo nome resti ancora centrale nella storia del tennis italiano.

