Si consiglia di non esagerare con le accuse di incoerenza (altrui). Infatti ha gioco facile Meloni a obiettare ai dirigenti del Pd che i vertici dell’authority per la privacy di cui, oggi, essi chiedono le dimissioni sono nati, per così dire, in casa loro.
E che prima ancora era stato proprio il partito di Schlein a cavalcare un referendum – quello contro il Jobs Act – che mirava a cancellare una legge voluta da un suo controverso, ma all’epoca popolarissimo, predecessore.
Quando la svolta diventa una risorsa
Però avrebbe gioco altrettanto facile il Pd medesimo a ribattere che, nel caso di Giorgia Meloni, è proprio nell’incoerenza che risiede la sua fortuna e forse il suo merito principale.
Infatti, se dovesse mai cercare di governare insistendo sui temi di cui pochi anni fa faceva la propria bandiera (il blocco navale, l’uscita dall’euro, gli elogi verso Putin e chi più ne ha più ne metta), lei stessa sarebbe in braghe di tela e il Paese di più ancora.
Insomma, anche la coerenza dovrebbe essere dosata. Poiché è virtù di un(a) leader evitare eccessi di testardaggine e magari trovare il modo di rivedere alcune delle proprie antiche convinzioni, soprattutto quelle che strada facendo si sono rivelate (uso un eufemismo) inadatte al nuovo contesto.
La democrazia come esercizio di revisione
È la regola della democrazia, appunto. E cioè di un regime politico che vive della sua stessa sensibilità: quella peculiare capacità di ripensarsi e adeguarsi a un contesto mutevole che induce sempre ad aggiornarsi e, se del caso, a correggersi.
Invece è proprio quando si vuole far finta di essere gente tutta d’un pezzo che si finisce per smarrire la rotta, che non sarà mai così lineare come la si racconta.
Fonte: La Voce del Popolo – 13 novembre 2025
Articolo qui riproposto per gentile concessione dell’autore e del direttore del settimanale della diocesi di Brescia.

