Qualche giorno fa la Corte di Cassazione ha chiuso con un’assoluzione il “caso Marino”. Cacciato con ignominia dal Campidoglio, nell’ottobre del 2015, per la coraggiosa iniziativa dei consiglieri democratici, nell’occasione guidati dall’intrepido presidente del partito, nonché commissario del Pd romano, Orfini, il chirurgo è ritornato a Philadelphia, lasciando l’insicura aula Giulio Cesare per la più accogliente camera operatoria della Thomas Jefferson University.
Il palpitante caso giudiziario derivava da alcuni “scontrini” riferiti a cene pagate da Marino con la carta di credito comunale. Va a sapere se quei simposi fossero istituzionali o privati. Vallo a sapere perché i pm volevano semplicemente che glielo dicesse lui, Marino, che roba fosse quella. Loro invece, in tanto tempo, non sono riusciti a convincere la Cassazione, supremo giudice che lui, l’ex sindaco, avesse cenato a sbafo. Ciò di cui erano convinti quei consiglieri a Cinque Stelle che si fecero fotografare con le immancabili arance da portare dietro le sbarre allo stesso Marino. Avrebbero fatto bene a tenersene un po’ di queste arance per portarle a Regina Coeli a quello che fino a qualche settimana fa presiedeva il Consiglio Comunale eletto dopo la cacciata di Marino.
Le arance e la gogna mediatica non sono bastate a far condannare Marino. Peccato per Orfini e tutti quelli che per conformismo hanno taciuto vigliaccamente in questi anni. Si difende ora l’ex presidente democratico e dice che non si pente perché, anche senza condanna, resta il “giudizio politico”, ovviamente negativo, sul suo ex compagno di partito. Marino è stato un cattivo sindaco? Il dibattito è aperto, alla luce delle esperienze successive vissute dai romani. Certo, non è che la candidatura di Marino sia stata decisa da un ente diabolico, alle spalle del Pd romano. Casomai sarebbe bastato scegliere un altro, uno che, decifrando le smorfie dei dirigenti di quel partito, si fosse dimostrato più influenzabile del chirurgo di Philadelphia, Pennsylvania.
La Cassazione, assolvendo le cinquantadue cene di Ignazio Marino, e ustionando il cuore legalitario dei Cinque Stelle romani, degli amici di Orfini e dei Fratelli d’Italia, ha reso un grande servizio alla giustizia. Questa, nella motivazione della sentenza che manda assolto Marino, scrive testualmente che la Corte d’Appello, condannandolo, aveva violato “il principio generale secondo cui l’onere di provare l’esistenza degli elementi costituivi del fatto di reato incombe sulla pubblica accusa”. Come per magia, si sente risuonare nel Palazzo della Giustizia il brocardo secondo cui siamo tutti innocenti fino a prova contraria e condanna in pari tempo il davighese secondo cui siamo invece tutti colpevoli, fino a prova contraria.
Pochi giorni dopo la sentenza, lunedì scorso, mascherato da Conte di Montecristo, il chirurgo Marino posta su Facebook un messaggio agli italiani. In esso rende noto che “le cene di rappresentanza oggetto di tanta attenzione da parte del Partito Democratico, dei partiti di Centro-Destra e del Movimento 5 Stelle sono state giudicate dall’Alta Corte attività ordinaria di promozione dell’immagine e del prestigio della Capitale.” Il caso dunque è chiuso. Poi, l’ex destinatario delle arance grilline conclude graffiando: “ciò che rimane aperto sono le motivazioni che hanno portato tutti consiglieri del Partito democratico e parte dei Consiglieri del Centro-destra a recarsi da un notaio per interrompere il cambiamento che si stava realizzando. Queste sono le uniche motivazioni che ancora oggi non sono state depositate.”
Chissà se parleremo di una “sindrome di Montecristo”. Di sicuro, il messaggio dell’ex condannato è stato “visualizzato” da oltre 530.000 utenti Fb, e ha riscosso 20.000 like con 2.000 commenti. Infinitamente di più di altre Star della scena Social. Una reazione popolare come questa significa che ci sono tanti italiani che odiano le persecuzioni. Ricordiamocelo.