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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Europa o Russia? Moldova e Georgia dopo le urne.

Tra pressioni russe e aspirazioni europee, le due repubbliche ex sovietiche affrontano sfide cruciali dopo le elezioni. Il loro futuro politico potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici dell'Europa orientale e del Caucaso.

Le mire espansionistiche della Russia di Putin potrebbero non limitarsi all’Ucraina. È il timore di molti. I primi paesi indiziati in tal senso sono la Moldova e la Georgia. Dove si è votato da poche settimane. È molto interessante analizzarne i risultati, cosa che naturalmente non hanno trascurato di fare gli analisti più attenti. Inclusi coloro che operano in questo campo per conto dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’UE.

Nella piccola Moldova (2,5 milioni di abitanti che occupano una striscia di terra fra Romania e Ucraina) si è votato un referendum sull’inserimento in Costituzione dell’ingresso nell’Unione Europea (è paese candidato dal giugno 2022). Il sì ha vinto, ma con un margine esiguo (50,39% dei voti), assai inferiore a quanto previsto (o auspicato, forse). Le pressioni di Mosca e le interferenze via social hanno senz’altro inciso non poco su parte della popolazione, che non raggiunge certo gli standard di vita europei. Nelle condizioni date, per gli europeisti moldavi il risultato è comunque molto positivo e la ristrettezza del margine di vittoria non inficerà le dinamiche tecniche con le quali Chisinau affronterà gli step necessari per allineare la propria legislazione a quella europea.

Ma quella referendaria non era l’unica votazione. C’era anche quella per la Presidenza della Repubblica, in due turni. Purequi la vittoria degli europeisti non è stata travolgente, anche se più larga. Al ballottaggio la Presidente in carica, Maria Sandu, ha sconfitto col 55% dei voti lo sfidante filo-russo Alexandr Stoianoglo e potrà così proseguire con ancor maggior intensità il percorso di avvicinamento a Bruxelles. Ma è paradossalmente proprio questo che inquieta, ricordando come la vicenda ucraina sia nata in seguito alla spinta filo-europeista che era sorta nel paese. E la Transnistria, quella minuscola lingua di terra moldava confinante con l’Ucraina che si è data un autogoverno sostenuto dalla Russia e non riconosciuto dalla comunità internazionale, vive una condizione che ha molte similitudini con quella ante guerra del Donbass ucraino reclamato con la forza da Mosca.

In Georgia invece hanno vinto i filo-russi di Sogno georgiano, col 54% dei consensi. Accuse di brogli e di pesanti minacce subìte dalla popolazione sono state mosse dai partiti dell’opposizione (sono quattro e insieme hanno ottenuto il 35% dei voti), che hanno promosso nelle settimane seguenti al voto del 26 ottobre numerose manifestazioni di piazza. 

Sogno georgiano formalmente sostiene il processo di adesione all’Unione Europea ma in realtà al suo interno sono sempre più forti le spinte all’interruzione del percorso e per contro l’attrazione esercitata dalla Russia. Il governo sta pertanto usando il pugno di ferro contro gli oppositori che scendono nelle strade di Tblisi, la capitale, contestando – come detto – l’esito elettorale, che però è stato confermato dalla commissione elettorale centrale.

Giova ricordare che nel 2008 la Russia invase e conquistò le province georgiane dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, anche per frenare bruscamente l’eccessiva spinta occidentalista ed europeista dell’allora Presidente Mikhail Saakashvili (che qualche anno prima aveva abbattuto, con la cosiddetta “rivoluzione delle rose”, il prudente e saggio primo Presidente del paese divenuto indipendente, il famoso ultimo ministro degli esteri dell’URSS, Eduard Shevardnadze). Dopo pochi anni Saakashvili venne inesorabilmente battuto da un nuovo partito, appunto Sogno georgiano, fondato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, e costretto all’esilio con una condanna per abuso di potere.

La società georgiana è decisamente filo-occidentale e filo-europea, e così pareva esserlo anche il partito al potere. Ma quando, nel 2021, Saakashvili è rientrato nel paese convinto di poter riprendere un ruolo politico attivo, sbagliando i calcoli, è finito in galera (ove si trova tuttora). Ivanishvili ha però pensato che la mossa del suo predecessore fosse stata concordata con qualche emissario occidentale e da allora ha cominciato a dubitare di Bruxelles e a guardare verso Mosca, pur se non con atti ufficiali. E quando Putin ha attaccato l’Ucraina la Georgia non ha aderito alle sanzioni decise contro Mosca. Preoccupando così, e non poco, i suoi oppositori. Che restano minoranza, forse anche nella società ma di sicuro nel Parlamento.