Nel tempo delle autocrazie e dei nazionalismi riemergenti, l’Europa può e deve tornare a essere faro delle democrazie liberali. È questa l’indicazione di Mario Monti, con la quale invita a riflettere sul ruolo globale che l’Unione Europea può assumere nella nuova geografia della politica internazionale.
Con il progressivo disimpegno degli Stati Uniti dalla tradizionale leadership del mondo libero – un processo già avviato prima di Trump e destinato a intensificarsi in caso di un suo ritorno, ggi impossibile per legge – l’Europa si presenta come grande spazio politico ed economico contrassegnato da principi e regole di libertà. È in questa cornice che Monti colloca la scelta per nuovi legami strutturali con le altre democrazie liberali del pianeta: Canada, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, persino il Regno Unito post-Brexit.
Questa visione, se accolta e integrata, può rappresentare un aggiornamento coerente e audace dell’europeismo di Alcide De Gasperi. In un tempo segnato dalle rovine della guerra, lo statista trentino seppe coniugare realismo e creatività, immaginando un’Europa unita non solo economicamente, ma anche e soprattutto nei valori. L’eredità degasperiana non è un nostalgico riferimento al passato, ma la base per ripensare oggi il ruolo dell’Europa nel mondo.
Sostenere la proposta di Monti significa delineare un’alternativa forte e limpida all’attuale incertezza strategica della destra. Giorgia Meloni si muove in equilibrio instabile tra Bruxelles e Washington, senza sciogliere il nodo di quale debba essere il baricentro della politica estera italiana. Non basta affiancare l’Europa: occorre scegliere di farne il fulcro della nostra visione del mondo.
L’alternativa non può neppure venire da un certo populismo di sinistra – alla Schlein – con tutte le ambiguità emerse sulla questione del riarmo. Solo un europeismo rinnovato, serio, proiettato verso una leadership condivisa con altre democrazie liberali, può fare la differenza nella e per la difesa dell’Occidente democratico. Chi si riconosce nella tradizione del popolarismo democratico e cristiano ha il dovere di raccogliere l’invito di Monti – non importa se l’ex Premier parla a nome della “famigerata” Trilateral Commission – a fare i conti seriamente con questa sfida affascinante. Se il Centro è una politica, e non una formula di puro equilibrismo, questa sfida ne determina a tutti gli effetti il potenziale di rinnovata forza di attrazione.