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martedì, Febbraio 11, 2025
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Europa, Ursula von der Dc.

L’elezione della Presidente della Commissione è una pagina da leggere con attenzione. Un’Europa in bilico tra crisi e speranza. Maggioranza risicata, sfide economiche e sociali, ma visione pragmatica per salvare l’Unione.

370 si, 282 no e 36 astenuti: con questi numeri la Commissione Ursula von der Leyen 2024/2029 ha preso il via ieri a Strasburgo. Vero è che è la maggioranza numericamente più risicata della storia, che almeno 70 Europarlamentari che scelsero Ursula come presidente a luglio non l’hanno confermata. Anche vero che è appena di 9 voti sopra la maggioranza assoluta (720 i membri del Parlamento europeo), e che si votava a maggioranza dei presenti, quindi è passata per 25 voti. Ma è vero che politicamente si tratta di una maggioranza molto più ampia di quanto i numeri raccontino: hanno votato si Membri dei gruppi di ECR (Fratelli d’Italia e i cechi, entrambi al governo), gran parte del PPE (con eccezione degli spagnoli e degli sloveni), dei Liberali (con l’eccezione dei belgi), gran parte dei Socialisti (con le eccezioni dei tedeschi, già in campagna elettorale e di sparuti membri di delegazioni nazionali, tra cui gli italiani Tarquinio e Strada), fino a metà del gruppo dei Verdi. Le motivazioni politiche le conosciamo: la contestazione a Fitto e Ribera, il timore di una maggioranza spostata a destra, dinamiche nazionali portate all’Eurocamera. 

Ma sono letture superficiali, anche se di moda nelle osservazioni di tanti cronisti e osservatori dopo il voto. 

Il Green deal come lo conosciamo fino ad oggi, nato con furore quasi ideologico della sinistra Nord europea, sarà gradualmente rivisto, ma non per questo ci si deve disperare. I dati del settore automobilistico europeo sono drammatici e molto presto lo saranno anche quelli dell’indotto. Le piccole e medie imprese di ogni settore sono in grave difficoltà per gli aumenti dei prezzi delle materie prime, difficoltà nelle catene di approvvigionamento, nel reperire i talenti richiesti sul mercato del lavoro e per la tardiva azione della BCE nell’abbassare i tassi, con relativa difficoltà di accesso al credito.

La maggioranza dichiaratamente europeista, come 20 anni fa, è evaporata da tempo. Ogni partito, ormai, presenta venature eurocritiche. E, come dal fruttivendolo, ci si regola in base a quello che c’è.

Serve aprire gli occhi su tre realtà: il voto con sistema proporzionale con cui è eletto il Parlamento europeo e lo stesso meccanismo decisionale nel trilogo Commissione che propone le leggi e Consiglio e Parlamento che sono colegislatori aprono ampi spazi di manovra e richiedono elasticità in ambito parlamentare. A questo si somma la difficilmente negabile crescita delle destre e dei populismi di varia natura. Lo spostamento a destra dell’elettorato europeo non lo si combatte con slogan, ma con i fatti. E la causa è meramente economica: in Unione europea il 10% della popolazione più ricca ripossiede il 67% della ricchezza, con il 50% più povero a possederne solo l’1,2%. Uno squilibrio profondo nel continente che ha fatto del ceto medio e dell’ascensore sociale i due motori per la crescita e lo sviluppo. In questo, preoccupa l’Italia quarta, dopo Bulgaria, Romania e Polonia per livello di disuguaglianza economica. Per quanto paradossale, la narrativa populista e qualunquista degli ultimi dieci anni ha fatto credere a quelli che hanno poco che la colpa di questo sia ascrivibile a chi non ha niente e non alle incapacità della politica: un danno culturale non risolvibile in poco tempo. Ultimo, ma cruciale: l’Europa sta attraversando la più grave crisi da quando è iniziato il processo di integrazione. 

Insomma, non abbiamo tempo da perdere. Per evitare un tracollo politico, economico e sociale sono necessari pragmatismo e coraggio. In questo, la ritrovata centralità del PPE, che fa del senso della responsabilità la chiave di volta del proprio impegno è un ingrediente essenziale. E pazienza se si parla in termini negativi di “politica dei due forni” con i Popolari pronti a fare squadra con la destra su alcuni temi e con Liberali e Socialisti su altri. La missione di fondo non è portare a casa una vittoria su un regolamento, o fare contenta qualche lobby, ma salvare l’Ue, a volte anche da sé stessa.

In tempi difficili come questi, e ce lo insegna la storia del dopoguerra, è cruciale evitare di spaccare le società europee, attraversate da incertezza per il presente, paura per il futuro e vaghi ricordi dei fasti di un glorioso passato.

Si tratta, in fondo, di applicare la lezione di Aldo Moro e modellarla ai giorni nostri: creare i presupposti di una unità politica, pur nelle differenze di visione a volte abissali, per evitare lo sfaldamento della società e ricostruire una visione comune e un senso di solidarietà senza le quali l’Unione europea non ha senso di esistere. E se queste destre fanno paura a molti, confidiamo nel fatto che inizia oggi un percorso lungo di coinvolgimento nella stanza dei bottoni di chi a Bruxelles rappresenta il maggior numero possibile di cittadini, affinché possano ritrovare un senso di appartenenza comune che si basi non solo su valori, ma anche su sviluppo e benessere. Il contagio democratico (e democristiano) farà il resto.