Roma, 19 nov. (askanews) – A poche ore dalla morte delle gemelle Kessler Famiglia Cristiana interviene nel dibattito sulla modalità scelta dalle dive degli anni ’60 per abbandonare, in contemporanea, la vita terrena: “L’esaltazione della libertà rischia di farci ritenere la morte volontaria con un farmaco letale coerente e consequenziale a una ‘modernità’ che le gemelle Kessler avevano inaugurato molti anni fa”.
In un articolo a firma di Antonio Sanfrancesco, il settimanale dei Paolini pone al centro il tema della solitudine e fragilità umana che accompagnano l’ultima stagione dell’esistenza e da cui prendono il via alcune domande sul fine vita tra etica, cultura e umanità: “‘Insieme fino alla fine’ è una formula che pare confezionata per conferire un tono sinistramente glamour, da fiaba moderna – esordisce l’articolo – e invece dietro la patina brillante di un racconto mediatico quasi sedotto, o ipnotizzato, da questo gesto, c’è una scelta, il suicidio assistito, che meriterebbe ben altre domande e che lascia doppiamente sgomenti”.
Una scelta che nel paese delle Kessler, la Germania, è lasciata al solo individuo: “Il pronunciamento con il quale la Corte costituzionale di Karslruhe ha depenalizzato cinque anni fa il suicidio assistito si è limitato a esigere la sola verifica della piena consapevolezza della scelta suicida, non coinvolgendo la sanità pubblica in una decisione considerata del tutto privata, come è accaduto alle gemelle Kessler. La Corte Costituzionale italiana è stata invece molto più cauta e garantista, facendo appello al Parlamento perché legiferi dopo aver previsto delle eccezioni molto circoscritte al principio della punibilità di chi aiuta a suicidarsi una persona che glielo chiede”.
Da qui la riflessione nel merito: “La retorica della ‘libertà’, evocata da diversi commentatori, si è affacciata ancora una volta come la categoria assoluta con cui raccontare (e talvolta giustificare) tutto. Eppure, se la libertà è il perno, il suo contrappeso – il limite – sembra scomparso dal discorso pubblico”.
Un’esaltazione della libertà che, spiega il settimanale, “rischia di farci perdere l’occasione per una riflessione più ampia sul senso e il significato anche etico, culturale e sociale del fine vita. Sulla solitudine mascherata da autonomia, sul ritenere, com’è stato fatto in questo caso, che la morte volontaria con un farmaco letale sia il segno coerente e consequenziale di una ‘modernità’ che le gemelle Kessler avevano inaugurato molti anni fa”. Il risultato è una “narrazione levigata, quasi romantica, che presenta come gesto di armonia quello che è, nella sua realtà più nuda, un atto estremo”.
Infine, la chiosa: “Forse un’altra chiave possibile per raccontare questa vicenda è quella della solitudine. Quella che spesso travolge le vite più fragili, segnate dalla sofferenza, dal disagio e dall’avanzare dell’età. Vite di cui, forse, non riusciamo più a prenderci cura e nemmeno a parlarne. Anche di fronte a casi dolorosi come questo”.

