Questo articolo esce in contemporanea sul sito di “Politica Insieme” è de “Il Domani d’Italia”.

Insisto su ciò che mi pare di aver colto dal dibattito di questi mesi sul ruolo dei “popolari di ispirazione cattolico democratica”.

C’è innanzitutto la piena coscienza che serve ripartire “dal basso”.

Qualcuno forse pensava che bastasse il reclutamento di parlamentari disposti a votare un Conte Ter per costruire “ in vitro” il “partito che non c’è” attorno all’ex Premier.

Questione risolta, ormai.

Non sarà certo con alchimie parlamentari, col rimescolamento di spezzoni di attuale nomenclatura o con l’improbabile uso omeopatico del populismo, che si potrà aprire una stagione nuova.

Serve un vitale ritorno alla comunità. Solo così si potrà costruire la necessaria premessa di tutto: una nuova sintesi culturale.

Molte questioni vitali sono oggi affidate solamente alla dimensione “finanziaria ed amministrativa”; ma noi sappiamo che invece richiedono un salto di responsabilità da parte di tutti i cittadini e delle formazioni sociali.

Sono i temi della transizione digitale ed ecologica; della disuguaglianza crescente tra persone, generazioni, territori e generi; dei nuovi paradigmi attorno ai quali costruire credibili opportunità di benessere sostenibile, equo e duraturo, in chiave interna e globale.

Il Governo Draghi lavorerà in questa direzione, per nostra fortuna. Ma ha bisogno di un risveglio nazionale e di una coerente rigenerazione della politica. La competenza è tornata un valore – dopo la deriva dell’uno vale uno e la folle presunzione dell’orgoglio dell’ignoranza – ma senza il legame popolare e democratico della politica Draghi non può farcela.

C’è poi una sfida culturale ancor più decisiva: come conciliare la spinta al “primato dei diritti individuali” (che va assunto come segno del nostro tempo, in rottura con la stagione precedente, connotata dal primato dei diritti collettivi) con la necessità di un “comune sentire” e di una democrazia che non degradi nell’individualismo e non perda la sua cifra “comunitaria”.

È tempo di riscoprire Mounier: tempo di “nuovo umanesimo”, come esorta Francesco.

Ciò richiede non già sbandierate nostalgie, ma umili, coraggiose, nuove mediazioni.

E postula – per il nostro mondo – un impegno culturale, formativo e di elaborazione che non può avere l’orizzonte stretto del contingente.

È una società nuova che cerca di nascere (se ce la fa), mentre quella vecchia comunque non tornerà più. Dobbiamo esserne consapevoli. Servono tempo, pazienza, fiducia, costanza e generosità.

Esiste però anche la contingenza politica, che non può essere elusa, poiché – come ha detto Aldo Moro – occorre vivere il tempo che ci è stato dato, fino in fondo.

In questo senso mi pare che forse ci siano oggi le condizioni per lavorare a due obiettivi.

Il primo. Mettere in rete – senza nessuna pretesa di immediata “reductio ad unum” – le tante realtà nazionali e locali, civiche e politiche, che si riconoscono in un “nuovo Popolarismo di ispirazione cattolico democratica”.

Ognuna di queste esperienze è molto positiva. Nessuna da sola però può farcela.

Serve una Comunità di Intenti vera, che avvii un percorso di condivisione. Adottando, con reciproca generosità, chiarezza e apertura, la logica del “come se”: come se fossimo già un soggetto unitario. Non lo siamo e occorre prenderne atto. Ma lo dovremo diventare, se ne saremo capaci. Dipenderà solo da noi. Altrimenti sarà stato tempo perso ed avremo illuso tante persone.

Giuseppe De Mita e Mario Mauro, da ultimo, ne hanno scritto su Formiche.

Giorgio Merlo su Ildomaniditalia. Molti importanti contributi sono su PoliticaInsieme e su Associazione dei Popolari.

Penso che Insieme – alla quale ho aderito – Rete Bianca, Demos e tante altre realtà simili, locali e nazionali, dovrebbero sperimentare un percorso di questo genere. Con urgenza e senza primogeniture di sorta.

Solamente così il nostro mondo potrà essere riconoscibile e autorevole.

Il secondo obiettivo, che considero altrettanto essenziale.

Nello scenario che si sta aprendo, occorre saper distinguere tra “dimensione identitaria” (fondamentale per ridare alla politica una sua bussola valoriale) e dimensione dello “strumento politico-elettorale”.

La prima dimensione esige chiarezza di riferimenti ideali e culturali; la seconda esige condivisione plurale di un obiettivo politico di sistema.

Sono due dimensioni coessenziali, che devono convivere dentro una nuova “forma di rappresentanza politica” capace di andare oltre le forme partito del Novecento, nelle quali le due dimensioni, in larga parte, coincidevano.

Nello scenario attuale, si intravvede con abbastanza chiarezza il profilo (e l’urgenza) di tale obiettivo di sistema: ricostruire – totalmente ex novo – una area politica capace di reinterpretare le culture politiche popolari e liberal democratiche verso un riformismo che sia “trasformazione” della società italiana e non solo riproposizione di ricette che la storia degli ultimi vent’anni ha palesato come inadeguate.

La retorica del riformismo – lo spiega bene Stefano Zamagni – deve lasciare il passo alla cultura di una radicale trasformazione della società, delle Istituzioni e dell’economia nei nuovi scenari che incombono.

In conclusione. Facciamo Comunità vera tra i popolari veri. E subito dopo apriamo un “Cantiere” con tutti quelli che con noi vogliano costruire una area politica capace di interpretare il riformismo con le logiche ”trasformative” che la stessa scommessa del Governo Draghi comporta.

Né un PD grillinizzato, né la Lega (che, nonostante il positivo sostegno a Draghi, destra nazionalista rimane) potranno essere la soluzione del problema.

Nello stesso scenario politico europeo molte cose stanno cambiando e i tradizionali contenitori partitici rischiano di non essere più capaci – così come sono – di interpretare le nuove domande della società.

Esiste un filone di cultura politica peculiare in Italia: il Popolarismo di matrice cattolico democratica, che solo in parte, a livello europeo, è rappresento dal PPE.

Ed esiste una storica capacità di tale filone di essere cemento di un patto sociale e politico con le culture liberal-democratiche.

La DC ha rappresentato anche questo. La DC non rinasce, la storia va avanti e non indietro. Ma senza un “baricentro” culturale e politico un Paese come il nostro non può affrontare le sfide di questo tempo difficile.

Noi popolari veri siamo parte di questo baricentro. Dobbiamo però risvegliarci, fare rete ed essere coraggiosi nella novità di idee, linguaggi, classe dirigente.

E dobbiamo poi costruire sinergie politiche con chi – pur non essendo parte della nostra tradizione culturale – si colloca nel nostro stesso orizzonte.

Il tempo a disposizione è poco ed il campo rischia di essere mediaticamente occupato dalle leadership personali oggi in campo. Ma esse hanno i piedi di argilla e non dobbiamo avere paura di loro. Le leadership vere saranno il frutto di un percorso dal basso. A condizione che questo percorso inizi subito.