Pubblichiamo la prima parte dell’editoriale del direttore della rivista mensile dei gesuiti di Milano (fascicolo di ottobre 2021). Il link in fondo alla pagina consente di accedere alla lettura del testo integrale.

Giacomo Costa

Nella Chiesa la parola del momento è “sinodo”: gli itinerari sinodali lanciati nel 2021 sono due, che ovviamente si intrecciano. Uno è il “Sinodo 2021-2023” della Chiesa universale, intitolato «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione», che si apre il 9-10 ottobre in Vaticano e il 17 ottobre in ogni diocesi del mondo (cfr <www.synod.va> per i documenti di riferimento e l’articolazione delle diverse tappe). L’altro è il cammino sinodale italiano, ufficialmente aperto dall’Assemblea della CEI dello scorso giugno, che si snoderà dal 2021 al 2025 nel solco delle indicazioni emerse dal Convegno ecclesiale di Firenze del 2015.

Anche se è di grande attualità, “sinodo” resta un termine difficile da maneggiare, che rimanda al lessico tecnico dei teologi e dei canonisti. Non siamo ancora capaci di leggervi in trasparenza il suo significato etimologico di “camminare insieme”, come invece riesce a fare con grande naturalezza papa Francesco, che non a caso ha fatto di “sinodo” una parola chiave del suo pontificato. Camminare insieme trasmette immediatamente due caratteristiche fondamentali, tenendole unite. La prima è il dinamismo del movimento, di un processo che punta a un cambiamento. Chi vuole che tutto rimanga com’è, non si mette in cammino. La seconda è espressa dalla parola “insieme”: il processo sinodale si pone nella linea della costruzione di un “noi”. Anzi, per molti versi è la traduzione ecclesiale di quelli che papa Francesco, rivolgendosi anche a chi non fa parte della Chiesa, chiama «processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze» (Fratelli tutti, n. 217). Un mondo frammentato come il nostro ha disperato bisogno di vedere che sono davvero possibili processi di reale incontro tra le differenze, senza che nessuna sia negata o schiacciata. Per questo una Chiesa sinodale è immediatamente anche un segno profetico «dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, n. 1).

In questa luce, vale la pena cercare di mettere a fuoco qual è la posta in gioco dei processi che come Chiesa stiamo intraprendendo, in modo da vivere con consapevolezza gli appuntamenti a cui siamo tutti invitati a partecipare e da cogliere quella che per la comunità cristiana costituisce una grande opportunità di rimettersi in contatto con la propria identità e di interrogarsi sul modo con cui portare più efficacemente a termine oggi la missione di evangelizzazione, che è la sua ragion d’essere.

Il titolo del Sinodo 2021-2023 ci offre un buon punto di partenza, che è l’espressione “Chiesa sinodale”. Anche se può sembrare una sottigliezza lessicale, è fondamentale chiarire che non stiamo incominciando un sinodo sul sinodo, inteso come dispositivo organizzativo con le sue regole e i suoi ritmi. L’oggetto è invece la sinodalità, che la Commissione teologica internazionale ci ha ricordato essere «dimensione costitutiva della Chiesa, che attraverso di essa si manifesta e configura come Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto» (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2018, n. 42, in <www.vatican.va>). Al n. 70 questo stesso documento sottolinea come questa dimensione costitutiva si articoli su tre piani: quello dello stile con cui la Chiesa vive e opera ordinariamente, quello delle strutture in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime in modo istituzionale, quello dei processi ed eventi sinodali in cui la Chiesa è convocata. Anche il Documento preparatorio (DP, disponibile in <www.synod.va>) del Sinodo 2021-2023, presentato il 7 settembre scorso, propone questa articolazione, che riprendiamo qui per strutturare la nostra riflessione. Per quanto riguarda la Chiesa italiana, la scelta di parlare di cammino sinodale piuttosto che di sinodo ci sembra un modo per mettere in evidenza proprio la dimensione della sinodalità rispetto all’organizzazione di una serie di eventi.

Vita e missione della Chiesa: una questione di stile

Papa Francesco ne è consapevole: «Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica» (Discorso nella commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015). I cammini sinodali, universale e italiano, sono l’occasione propizia per affrontare questa difficoltà, ben sapendo che per la Chiesa la sinodalità implica la questione dell’identità. Ci mettono in questa prospettiva le tre parole scelte come sottotitolo del Sinodo 2021-2023: la Chiesa è comunione, che è espressa e al tempo stesso coltivata attraverso la partecipazione di tutti, ma non può rimanere rivolta all’interno, essendo a servizio alla missione. Perciò la sinodalità, che pure è un termine relativamente recente, ha radici profondissime nella tradizione. Ripercorrerle, come fa il cap. II del DP, consente di riattraversare l’intero percorso della riflessione teologica sul mistero della Chiesa. 

Ad esso rimandiamo, limitandoci qui a evidenziare come praticare la sinodalità sia il modo per dare attuazione alla ecclesiologia del Vaticano II, a partire dalla sottolineatura di ciò che tutti i cristiani hanno in comune, cioè il battesimo e la uguale dignità che ne deriva: «Se anche per volontà di Cristo alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori a vantaggio degli altri, fra tutti però vige vera uguaglianza quanto alla dignità e all’azione nell’edificare il corpo di Cristo, che è comune a tutti i Fedeli» (Lumen gentium, n. 32). Così come comune è la responsabilità di portare a termine la missione di evangelizzazione, pur con modalità differenziate a seconda della vocazione di ciascuno. La ricchezza e la profondità di questa comunione radicata nella dignità battesimale diventa garanzia dell’autenticità della fede: «La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» (Lumen gentium, n. 12). In una Chiesa sinodale, anche la fede è camminare insieme!

Questo linguaggio risulta significativo solo un per un numero relativamente ridotto di persone, con un certo grado di formazione teologica. Fatica quindi a diventare il motore del rinnovamento della vita e delle pratiche ecclesiali, specie ai livelli più di base. Così un lavoro da intraprendere, ad esempio nel cammino sinodale italiano, è raccogliere e rilanciare narrazioni ed esperienze, e cercare l’ispirazione di immagini capaci di veicolare in modo più immediato e intuitivo la dimensione della sinodalità. In circolazione ce ne sono varie, e di diversa origine – la piramide rovesciata, il poliedro, la Chiesa-famiglia, la canoa del n. 201 di Christus vivit, ecc. –, ma nessuna in fondo è pienamente soddisfacente né è riuscita finora a entrare nell’immaginario condiviso della comunità cristiana.

Infine, il pieno recupero della dignità battesimale di tutti i fedeli spinge «ad approfondire le relazioni con le altre Chiese e comunità cristiane» (DP, n. 15), cercando le modalità per attivare circuiti di sinodalità anche nei loro confronti. Anzi, il profondo legame tra sinodalità e missione ci chiede di andare ancora oltre: non è possibile promuovere il bene comune dell’umanità senza camminare insieme con gli uomini e le donne del nostro tempo, «di cui condividiamo «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce» (Gaudium et spes, n. 1), aprendoci al dialogo e alla possibilità di imparare da loro.

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