Forlani contro Moro. È lui ad assumere, nel congresso del 1959, il “centro che marcia verso sinistra” come bandiera della Dc.

La D.C. è un partito di centro che marcia verso sinistra. 

A Firenze, nell’ottobre del 1959, fanfaniani e basisti attaccano da sinistra Aldo Moro, segretario del partito dal marzo precedente, che salva a fatica la sua maggioranza nell’ultima notte del congresso in virtù dell’accordo con Giulio Andreotti. 

A guidare l’attacco è proprio Amintore Fanfani, sacrificato pochi mesi prima dal gruppo di Antonio Segni  – inventore dei dorotei, nati per l’occasione con l’investitura di Moro nel famoso Consiglio nazionale della Domus Mariae, nonché leader di un governo spostato a destra – sull’altare della difesa ad oltranza del centrismo, contro perciò l’apertura ai socialisti.

Nel suo intervento, Arnaldo Forlani ripropone con forza quel “centro che muove a sinistra”, che Alcide De Gasperi aveva assunto a criterio della identità democratico cristiana. 

Lo stesso Luciano Radi, altro fanfaniano, concludeva il suo intervento con un richiamo altrettanto esplicito: “Il  congresso deve impedire – queste le parole del giovane deputato umbro – il prevalere dell’ala moderata e l’abbraccio della destra esterna: deve ridare al Paese la Democrazia Cristiana che il comunismo teme e che è la D.C. di centro che marcia verso sinistra”.

Comunque a Firenze si manifesta, su questo punto, una sottile ma decisa distinzione tra i due gruppi di opposizione: i fanfaniani declinano l’essere a sinistra come quintessenza di un anticomunismo dinamico, socialmente avanzato, mentre i basisti ne sostengono l’efficacia per l’aspetto consequenziale sul terreno delle alleanze, introducendo con più chiarezza la questione dei rapporti con il Partito socialista.

Un’ultima considerazione. Spesso a De Gasperi si attribuisce la formula del “partito di centro che guarda a sinistra”, ma in realtà l’espressione da lui preferita dava l’idea del movimento giacché suonava, appunto, come “centro che muove (o cammina) verso sinistra”.

Di seguito riportiamo il passaggio in cui Forlani esplicitava  la sua interpretazione del motto degasperiano, essenziale per il carattere della Dc come forza politica moderna e popolare.   [L. D.]

Dal discorso congressuale di Arnaldo Forlani

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La Democrazia Cristiana è un partito di cattolici, ma questo non è un elemento esclusivo della sua unità in quanto essa è un partito moderno, democratico, interclassista, ispirato ai principi della dottrina sociale cristiana. Se il comunismo è stato fermato in Italia dai cattolici, può essere in seguito sconfitto dalla D.C., grande forza democratica popolare, capace di promuovere lo sviluppo della democrazia, realizzando i propri ideali.

A tal fine l’impegno del Partito, ammaestrato anche dalle dure esperienze del passato, deve essere diretto a salvaguardare le proprie genuine caratteristiche contenute nella formula prospettata da De Gasperi secondo cui la D.C. è un partito di centro che marcia verso sinistra. 

È la definizione esatta che indica da una parte il carattere costitutivo del Partito e dall’altra il suo compito storico riferito alla presente società e ai suoi problemi. La D.C. è un partito di centro, interclassista, che considera suo compito storico non la meccanica mediazione degli interessi di classe contrapposti, ma, nella presente società e in questa fase del suo sviluppo civile ed economico, considera suo compito la risoluzione dei problemi che, rimasti aperti in Italia, hanno portato parte delle classi lavoratrici contro la D.C. 

Coloro che interpretano il centrismo come mera mediazione di interessi diversi e contrapposti non accettano questa definizione degasperiana e la attribuiscono ad un suo momento di relativa e scarsa lucidità. Il centrismo di questi amici finisce per diventare, sia pure con le migliori intenzioni di questo mondo, una posizione tipicamente conservativa e di sterile tentativo di mediazione, una posizione che potrebbe essere attuale ed avere anche una sua permanente validità in una società bene equilibrata e interamente acquisita alla  democrazia. Ma questo non è il nostro caso.

Non è questa la situazione politica nella quale operiamo e ove vi fosse bisogno di qualche dimostrazione credo che dovrebbe bastare per tutti la relazione di questa mattina dell’on. Moro.

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