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sabato, 26 Luglio, 2025
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Giovani, merito, lavoro: o si riparte o si declina

In accordo con il direttore, Claudio Velardi, riproponiamo l’editoriale pubblicato ieri sul quotidiano Il Riformista (titolo: L’Italia o si desta o si assopisce nella nostalgia) a firma dell’ex segretario generale della Cisl.

L’Italia è un Paese esausto, seduto su una sedia a dondolo, che ondeggia tra nostalgia e rassegnazione. Troppi anziani, pochi giovani, e un’idea tossica: che tutto debba restare com’è. Invece tutto sta franando. La demografia non perdona. Se non si nasce, se non si lavora, se non si produce, si decade. E l’Italia sta già declinando, lentamente, ma inesorabilmente.

Il problema non è che ci sono troppi anziani. Il problema è che il sistema è inchiodato al passato, costruito per difendere rendite acquisite, paralizzato da un welfare che premia l’inerzia e ignora il merito. Gli anziani sono diventati una massa critica elettorale che detta l’agenda politica. Ma non è con i voti della nostalgia che si costruisce il futuro. Il lavoro è la chiave. E l’Italia, invece di valorizzare chi lavora e produce, ha smesso di credere nel lavoro come motore di dignità e crescita.

Nel Paese che invecchia, i giovani fuggono. Non solo fisicamente, emigrando all’estero. Fuggono anche mentalmente: dalla politica, dalla partecipazione, dalla fiducia. E hanno ragione. In un mercato dove le competenze non contano, dove chi vale viene umiliato, dove le carriere sono inchiodate da gerarchie stanche e intoccabili, il merito è diventato un ospite sgradito.

Il lavoro va liberato. Bisogna ripensare tutto: premiare il merito, smascherare le rendite, sgretolare gli automatismi. Gli anziani attivi — che vogliono e possono contribuire — vanno coinvolti, non parcheggiati. Hanno competenze, esperienza, lucidità: ma devono uscire dalla logica del “diritto garantito” e rientrare in quella della responsabilità condivisa. Chi può e vuole restare produttivo, va incentivato anche per rafforzare la propria pensione— non punito con penalizzazioni astratte.

I giovani, invece, vanno messi al centro. Non con mance o bonus estemporanei, ma con un progetto serio. Formazione tecnica di qualità, accesso rapido e meritocratico al lavoro, salario dignitoso, progressione chiara e legata alla competenza, non all’anzianità. L’idea che tutti valgano allo stesso modo, a prescindere dall’impegno, è veleno puro. Una società che non riconosce e premia il merito è destinata al collasso.

Nel mondo globale, i Paesi giovani, ambiziosi e aggressivi — India, Indonesia, Turchia, Egitto — stanno affilando le armi. Producono, investono, invadono mercati. Noi invece difendiamo status, privilegi, impieghi protetti. Un Paese con una demografia ferma e una società bloccata è un bersaglio perfetto. Non servono bombe per conquistarlo: basta aspettare che si spenga da solo.

Entro il 2030, l’Italia avrà bisogno di oltre 4 milioni di nuovi lavoratori qualificati. Ma se non si cambia subito, non li troverà. Né tra i giovani fuggiti, né tra gli immigrati respinti, né tra gli anziani esclusi. Il lavoro è l’ultima frontiera della dignità nazionale. Serve un patto tra generazioni: i vecchi diano spazio e trasmettano saperi, i giovani portino energia e innovazione, lo Stato garantisca un sistema che premi chi si spende davvero.

Altrimenti resterà solo il silenzio di un Paese che invecchia, mormorando di un passato glorioso che non riesce più nemmeno a ricordare.