Giulio Giorello ci ha lasciati

Era stato a lungo titolare della cattedra di  filosofia della scienza alla Statale di Milano e sapeva stare in compagnia della matematica e della filosofia come si sta con due compagni di viaggio nella vita.

Le ultime parole che mi aveva detto al telefono erano state : ” Un abbraccio, caro”, pochi giorni prima della pubblicazione su il Domani d’Italia della sua intervista, avvenuta il 6 aprile u.s.

Non so se ne aveva poi concesse altre ma quella per la quale mi diede – quando lo avevo chiamato – il suo  “sta bene si stampi” , dopo averla riletta, resta per me , penso per noi, una sorta di prezioso testamento spirituale.

Debbo al Dott. Giuseppe Sabella , suo allievo prediletto e coautore con lui di alcune pubblicazioni, il sostegno e la presentazione per quella intervista, ad alcuni anni di distanza dalla prima.

Sono grato all’amico Giuseppe per avermi aiutato a realizzare quella che era per me un’opportunità lungamente desiderata, un’occasione per ricapitolare una visione della realtà, dopo l’ubriacatura della globalizzazione e il ritorno di un nichilismo di fondo, negazionista del valore della ragione e dell’uso del pensiero critico, l’abbandono nell’inazione e in ogni speranza nel futuro.

Era stato a lungo titolare della cattedra di  filosofia della scienza alla Statale di Milano e sapeva stare in compagnia della matematica e della filosofia come si sta con due compagni di viaggio nella vita.

In quella intervista riferì cose importanti per chi dubitava che la preponderanza della tecnica potesse offuscare una prospettiva umanistica sul piano antropologico ed esistenziale, che la scienza finisse per spegnere l’afflato del sentimento e della poesia.

L’impresa scientifica e tecnica ha rappresentato una delle grandi componenti della emancipazione umana, perché scienza e tecnica unite insieme permettono di controllare i ‘rischi ambientali’ e in qualche modo rispondono ad alcuni bisogni primari, dal cibo alla sicurezza. Non dobbiamo dimenticare – sotto questo profilo – che la scienza è ‘comprensione del mondo’ ma è anche ‘intervento sul mondo’, attraverso la tecnologia, in quanto tecnica pianificata alla luce delle migliori teorie scientifiche di cui noi disponiamo”.

“Ciò che caratterizza e fasi migliori della modernità è l’uso della ragione critica nello smantellare forme ingombranti di “pensiero-pensato” e questo si chiama illuminismo: ….io francamente non condivido le visioni catastrofiche e il pessimismo apocalittico di chi sostiene che noi oggi vivremmo nel “tramonto dell’occidente”.

“La ricerca della verità scientifica e quella di senso vanno insieme e – forse – questa è la lezione che noi traiamo almeno da Galilei in poi”. Chiudendo la sua lunga e affascinante intervista Giorello mi fece il dono di trattare due temi che fanno parte intensamente delle riflessioni e delle aspirazioni della nostra vita: il senso della felicità e il valore del silenzio.

“Non so cosa sia la felicità: so che noi abbiamo bisogni e desideri che cerchiamo di soddisfare nel miglior modo possibile ma per fortuna non ci fermiamo qui, altrimenti la nostra vita sarebbe piatta e banale.

La felicità secondo me non è utopia, né immaginazione, né speranza: è semplicemente una componente della nostra libertà, è la sua soddisfazione, quella che ci dà la libertà maggiore”. E sul silenzio:  “Io attribuisco un grande valore al silenzio, alla possibilità di estraniarsi e di racchiudersi in se stessi, non esser turbato da chiacchiere, godersi un’alba o un tramonto, in natura, in montagna, al mare ma anche in una grande città – le città, non dimentichiamolo-  hanno un grande fascino con le loro luci e le loro ombre…”.

Ecco che il filosofo della scienza e il difensore del valore della tecnica nella storia dell’umanità, come tensione al progresso e al perseguimento del bene comune, come con un gesto di magia che riesce solo ai geni che sono consapevoli che tutto ciò che viene spiegato non sempre può essere capito, perché resta nell’intimità di ciascuno un pensiero nascosto e inespresso, aveva riconciliato l’esprit de geometrie e l’esprit de finesse, che dopo Pascal aveva creato due mondi.

La sua intervista ebbe grande successo e fu rilanciata sulla prestigiosa Rivista “Diritto penale e uomo”, diretta dall’amico dott. Raffaele Bianchetti.

Un paio di giorno dopo mi telefonò la segretaria del Prof. Giuseppe De Rita per dirmi che il Presidente l’aveva distribuita a tutti i Ricercatori del Censis.

Caro Professore, non dimenticherò mai come mi accolse a casa Sua, la Sua ospitalità, il trasporto emotivo con cui assecondava le mie magari banali domande, l’attenzione che mi dedicava, rischiando di perdere un aereo. Ora che ha spiccato il Suo volo, la Sua assenza si fa – come ebbe a scrivere il poeta Attilio Bertolucci- “più acuta presenza”. Una presenza che anche ora si fa viva e colma il nostro cuore di speranza.