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martedì, 22 Luglio, 2025
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Gli acquedotti e i martiri: la Roma di Biondi tra storia e memoria cristiana

Per gentile concessione del direttore, riproponiamo la recensione di Lucio Brunelli al libro di Paolo Biondi (Roma, l’impero dell’acqua), pubblicato il 17 luglio sul quotidiano vaticano con il titolo “Tecnologia e potere al tempo dei Cesari”.

Se i greci sedussero il mondo con la filosofia e con la finezza della loro arte, i romani incantarono i popoli da loro assoggettati con la magia delle opere idrauliche. Ottocento chilometri di condotti, arcate, tubature, per portare l’acqua potabile nelle case, nelle terme e negli anfiteatri (ottanta fontane dissetavano gli spettatori dei combattimenti con le belve nel Colosseo). La maestosità degli acquedotti che sorgevano nei territori annessi e la incredibile, millimetrica precisione delle pendenze studiate dagli ingegneri romani, suscitavano ammirazione e meraviglia fra tutte le genti dell’impero, dalla Francia all’Algeria, dalla Spagna alla Palestina.

Di acqua, tecnologia e potere al tempo dei Cesari narra l’ultimo romanzo di Paolo Biondi: Roma, limpero dellacqua, (Bari, Edizioni Di Pagina, 2025, pagine 136, euro 15). Il protagonista principale è un personaggio davvero esistito, Giulio Sesto Frontino, curator acquarum, ovvero sovrintendente agli acquedotti romani sotto l’imperatore Nerva, alla fine del primo secolo dopo Cristo.

Frontino redasse un rapporto accurato e appassionato sullo stato degli acquedotti, documento che è arrivato fino a noi; dovette combattere con gli allacci abusivi e con le dispersioni idriche, problematiche non molto diverse da quelle che, duemila anni dopo, nonostante gli sbandierati progressi, devono affrontare le aziende preposte al buon utilizzo delle condotte.

Come nei precedenti romanzi di Biondi (citiamo Livia, I segreti dellAra Pacis, Il Testimone) la trama è solo un pretesto per condurre il lettore nella vita quotidiana della Roma antica. Tra i giochi gladiatori e le alte mura della Suburra, lotte di potere e circoli raffinati di letterati.

Il prefetto delle acque non è l’unico personaggio storico che riprende vita nelle pagine del romanzo. C’è il poeta Marziale (alcuni suoi dialoghi sono tratti da testi originali, accuratamente tradotti dal latino), c’è lo storico Tacito e c’è Plinio il giovane che racconta la morte dello zio, Plinio il vecchio, ucciso (lo sapevate?) da esalazione tossiche mentre cercava di salvare persone dalla spaventosa eruzione del Vesuvio.

Sono gli anni della massima espansione dell’impero. Anni in cui i primi discepoli di Gesù sbarcano a Roma, tra conversioni sorprendenti, tradimenti e persecuzioni. Nello svolgimento degli eventi fanno la loro comparsa anche Pietro, il primo papa, e Giovanni, l’evangelista. Una delle virtù dei romanzi di Biondi è quella di farci scoprire, en passant (ma non a caso), luoghi cari alla memoria cristiana, sebbene poco noti agli stessi romani dei nostri tempi. Come Forum novum, antico municipio romano nella Sabina dove, basandosi su fonti di consolidata tradizione, l’autore racconta dell’eco ancora viva, al termine del primo secolo, delle visite di san Pietro a una famiglia di novelli convertiti, gli Aureli Ursaci: in quel luogo (dove sorgeva un immancabile acquedotto) ora si può ammirare lo stupendo santuario di Santa Maria in Vescovio, che di quel passaggio di san Pietro custodisce il ricordo.

In un altro capitolo, nella trama del romanzo entra anche lo scampato martirio di san Giovanni a Roma: per ordine di Domiziano il «grande pesce» — così era chiamato l’evangelista nella satira di Giovenale — fu immerso nell’olio bollente ma ne uscì miracolosamente illeso. Un’antica chiesetta in via di Porta latina, dedicata proprio a san Giovanni «in Oleo», ricorda il misterioso episodio, attestato anche da san Girolamo. Dopo aver letto il libro viene voglia di visitare, e dire una preghiera, in questi luoghi che ci affezionano ancor più alla storia dei primi cristiani. Un ulteriore motivo per cui ringraziare Paolo Biondi e le sue opere.