Il rischio di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è grande. Sono gli stessi Democratici a riconoscerlo. Nelle mail che il loro Comitato Nazionale invia agli iscritti, così come in quelle del Comitato elettorale Harris-Walz, si riconosce apertamente la crescita continua registrata dai sondaggi in favore dell’ex Presidente.
Certo, si tratta di messaggi che vengono trasmessi ai sostenitori con accentuato tono drammatico per motivarli ad un impegno straordinario in questi ultimi giorni di campagna elettorale e soprattutto per richiamarli al voto, portando ai seggi parenti, amici, chiunque possa essere convinto a votare Harris. Si è giunti alla fase finale e dunque non è più solo il momento per chiedere contributi finanziari (ossessivamente invocati da mesi a questa parte ai “grassroots”, la base popolare che con piccoli importi da 7 $ in su ha sostenuto parte importante delle spese di propaganda elettorale, ora concentrate negli ultimi spot televisivi e sui social nei cosiddetti “swing states”, quelli davvero decisivi per il risultato finale) bensì di mobilitare le persone per recarsi a votare, un’azione non così scontata in America (ma ormai, a quanto si vede, neppure più in Europa).
Il sistema elettorale statunitense, si sa, è antiquato nel suo favorire la vittoria in ogni singolo Stato piuttosto che nel voto complessivo federale (si ricorderà, al proposito, che Trump ottenne meno voti, molti meno voti popolari di Hillary Clinton ma vinse). Nessuno però si sogna di contestarlo apertamente, trattandosi di una eredità dei Padri Fondatori sulla quale si regge il federalismo di quella grande Nazione. Il risultato è che di fatto tutto si gioca in genere in una sola decina dei 50 Stati che compongono gli USA, più o meno sempre gli stessi. Ed è in questi ultimi che si incentra lo sforzo dei candidati, lasciando ai margini gli elettori di Stati enormemente più rilevanti per popolazione come ad esempio la California, attribuita ai democratici senza discussione alcuna. O il Texas repubblicano.
È proprio guardando ai sondaggi degli Stati in bilico che Harris-Waltz sudano freddo in queste ore. Lo dicono apertamente ai propri supporters: vi sono 4 Stati (Pennsylvania, Nord Carolina, Georgia, Arizona) nei quali Trump è in vantaggio: di poco, ma il trend delle ultime settimane è a lui favorevole; in altri 3 (Michigan, Wisconsin, Nevada) prevale ancora Harris ma pure in questi il trend di Trump è in crescita. La battaglia è “testa a testa” (“neck to neck”) ma occorre essere onesti, ammettono: “Dobbiamo bussare a più porte, fare più telefonate, mobilitare più supporters” altrimenti “perdiamo le elezioni”.
Tutto può ancora succedere. Ma la vittoria di Trump è altamente possibile, se non addirittura probabile (alcuni istituti specializzati in sondaggi elettorali la danno ormai per certa). Ciò che inquieta di più, però, è un’altra eventualità: che una vittoria di stretta misura di Harris inneschi una contestazione violenta del risultato da parte di Trump e dei suoi sostenitori MAGA più estremisti. Che minacciano sin da ora azioni violente. Questo odio inoculato in parte della società americana è il peccato mortale che non si può perdonare a Donald Trump. Ed è il motivo principale per il quale c’è da sperare in una sua sconfitta, martedì prossimo.