La scrittura di Heinrich Böll è un’insistente ricerca di senso. Nell’opera dell’autore, scomparso quarant’anni fa, il 16 luglio 1985, disincanto, dolore, ironia, amarezza convivono dentro vigili architetture di racconto e di pensiero. Nel discorso pronunciato il 2 maggio del 1973, quando ritirò il Nobel per la Letteratura assegnatogli l’anno precedente, Böll si interrogava sulle ragioni della sua arte: «Questo residuo di incalcolabilità, che si tratti di frazioni di millimetro, che corrispondono a minuscole differenze impreviste di estensione, come lo chiamiamo? Cosa si nasconde in questo divario? È ciò che di solito chiamiamo ironia, è poesia, Dio, resistenza o (per usare un’espressione popolare al giorno d’oggi) fiction?».
In quelle frazioni di millimetro, nel dettaglio, nella sfumatura della parola — scarna, sincera, in alcune opere vestita di umorismo arguto e chirurgico — si è espressa la grandezza di un autore che ha saputo raccontare l’essere umano e il suo tempo. Nelle sue pagine hanno trovato spazio l’esperienza del Secondo conflitto mondiale, il dopoguerra, la Germania del miracolo economico, la dialettica tra l’individuo e la storia.
Dov’eri, Adamo?, il suo primo romanzo, del 1951, il cui titolo si ispira a una riflessione del pensatore tedesco Theodor Haecker — «Una catastrofe mondiale può servire a trovare un alibi di fronte a Dio. Dov’eri, Adamo? “Ero in guerra”» — indaga la deriva dell’umanità attraverso le esperienze di Feinhals, tenente della Wehrmacht sul fronte orientale, mentre il Terzo Reich si disfa, e Ilona, ragazza ebrea che ha abbracciato il cattolicesimo e della quale il soldato si innamora. Böll, come osserva Alberto Cavaglion nella postfazione all’edizione Oscar Mondadori del 2021, è «un autore attento soprattutto a denunciare il culto dell’eroismo, l’assurdità della violenza inutile, la morte cui vanno incontro senza accorgersene personaggi che per un po’ avevano saputo serbare un briciolo di umanità». Lo scrittore, qui, come in precedenza in racconti quali Il treno era in orario (1949) o Viandante se giungi a Spa… (1950), ha il coraggio di affrontare, anticipando molta letteratura, le responsabilità del nazismo.
Descrive, ad esempio, senza censure, il viaggio di Ilona verso il campo di sterminio, i pensieri della donna, la morte feroce cui andrà incontro per mano del comandante Filskeit, che prima le chiederà di cantare e poi le sparerà: «Ilona aspettava la paura già da dieci ore. Ma la paura non veniva. In quelle dieci ore aveva dovuto sopportare parecchie cose e aveva provato sensazioni diverse: disgusto e orrore, fame e sete, affanno e disperazione» si legge nella traduzione di Anna Ruchat. Qui, come in altre opere — E non disse nemmeno una parola (1953) — emerge anche la relazione sfaccettata che Böll, di formazione cattolica, ha con il sacro, con la religione e le sue istituzioni, con cui è stato spesso in aperta polemica. Il passaggio sul rapporto di Ilona con la preghiera è di una forza e di una bellezza strazianti: «Ma lei era anche riuscita a pregare a lungo: al convento aveva imparato a memoria tutte le preghiere, tutte le litanie e gran parte della liturgia delle festività solenni, e adesso era felice di conoscerle. Pregare la riempiva di una fredda allegria. Non pregava per ottenere qualcosa, o perché qualcosa le venisse risparmiato, non pregava per una morte rapida, senza sofferenze, o per la sua vita, semplicemente pregava».
La disillusione di Böll verso una società che non sembra voler fare fino in fondo i conti con il proprio passato, la sua forza critica, il suo sguardo ironico raggiungono una compiuta poesia in Opinioni di un clown, romanzo del 1963, forse l’opera più nota insieme a Foto di gruppo con signora (1972) e a L’onore perduto di Katarina Blum (1974), divenuto un film di Volker Schlöndorff e Margarethe von Trotta.
«Sono un clown — dichiara Hans Schnier all’inizio del romanzo, tradotto da Amina Pandolfi per Mondadori (1965) —. Definizione ufficiale: attore comico, non pago tasse per nessuna Chiesa, ho ventisette anni e uno dei miei numeri si chiama “arrivo e partenza”». Il protagonista è stato lasciato dalla compagna Maria, la sua carriera artistica è un disastro che l’abuso di alcol non fa che peggiorare. Eppure, questa figura dolente di pagliaccio sa elevare, esprimendo le sue opinioni, una critica senza appello a una società che pare voglia annegare nel benessere e nell’ipocrisia, dimentica dei propri errori: «Quello che mi irritava particolarmente ai ricevimenti di mia madre era la spaventosa ingenuità degli emigranti rientrati in Germania. Erano così commossi da tutta quell’aria di pentimento e da quelle altisonanti dichiarazioni di democrazia che ogni incontro finiva sempre con grandi abbracci e proteste di fratellanza. Non capivano che il segreto dell’orrore sta nel particolare. È molto facile, un gioco da bambini, pentirsi di gravi colpe: errori politici, adulterio, assassinio, antisemitismo. Ma chi perdona un particolare, chi comprende i dettagli?». Nelle pagine emerge anche l’attrito tra l’autore e il cattolicesimo tedesco di quegli anni. E il romanzo provocò accese polemiche. Più in generale, lo spirito pungente, anticonformista — a tratti provocatorio — di Böll trovò non pochi oppositori, ma suscitò anche interesse ed entusiasmo.
A quarant’anni dalla morte di questo grande scrittore, l’asciutto nitore del suo stile, l’affilata intelligenza del suo pensiero, il coraggio di alcune sue prese di posizioni, come quella pacifista e antiatomica, e soprattutto la sua prosa controllata, eppure intensa, dicono molto del suo talento e della sua libertà intellettuale. «“Ma che tipo di uomo sei, in conclusione?” domandò Leo. “Sono un clown” risposi “e faccio raccolta di attimi. Ciao”».