Hong Kong-Cina, le responsabilità di Londra e il ruolo di Pechino

Non è certo la prima volta che gli abitanti di Hong Kong alzano la testa per protestare contro quelle che ritengono violazioni dei loro diritti

Articolo già pubblicato sulla rivista Atlante della Treccani a firma di Barbara Onnis

Nonostante la sospensione a “tempo indefinito” da parte del governo di Hong Kong del contestato emendamento sull’estradizione che aveva innescato le proteste lo scorso mese di giugno, gli animi dei manifestanti non si placano e le proteste continuano. L’obiettivo è il ritiro totale della riforma dell’estradizione che consentirebbe a Pechino di perseguitare i dissidenti nell’ex colonia britannica e, in generale, di allargare ulteriormente la sua influenza nella Regione amministrativa speciale (RAS) di Hong Kong. Molti ritengono, infatti, che il governo comunista stia lentamente erodendo i diritti “speciali” garantiti agli abitanti di Hong Kong per un periodo di cinquant’anni (a partire dall’handover) dall’accordo siglato dai governi di Londra e Pechino nel dicembre 1984 (Joint Declaration of the Government of the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the Government of the People’s Republic of China on the Question of Hong Kong) sulla base della formula coniata da Deng Xiaoping “un Paese due sistemi” (yiguo liangzhi).

Non è certo la prima volta che gli abitanti di Hong Kong alzano la testa per protestare contro quelle che ritengono violazioni dei loro diritti e continue ingerenze del governo di Pechino. Quella delle ultime settimane, però, è innegabilmente la più grande manifestazione politica mai organizzata nell’ex colonia britannica dal 1997, che ha visto momenti di grande tensione, come quando il Parlamento della regione è stato preso d’assedio dai manifestanti, il 1° luglio. L’assedio è durato diverse ore e stando a quanto riportato dai media locali, dopo l’irruzione i manifestanti hanno istallato, significativamente, una bandiera dell’era coloniale britannica.

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