Se non fosse vera, questa sarebbe la storia perfetta per un film hollywoodiano.
Una di quelle che ripercorrono il mito americano del self made man, dove, partendo dal basso, si può raggiungere il successo per i propri ed esclusivi meriti.
Uno di quei racconti insomma che tanto piacciano al pubblico.
Questa è la storia di Hope Amelia Solo; nata a Richland, nello Stato di Washington, il 30 luglio 1981.
Figlia di un veterano della guerra del Vietnam, di origine italiana, che dopo l’esperienza asiatica continua la sua esistenza entrando e uscendo da diversi istituti penitenziari.
Come lei stessa ha dichiarato nel suo libro: “Mia madre venne messa incinta dopo una visita coniugale a mio padre nel carcere di Walla Walla (stato di Washington)” e: “Mio padre era un truffatore, un donnaiolo e non ci si poteva fidare di lui. Ma era mio padre, si prese cura di me e io lo amo ” e ancora: “Non era un marito responsabile o un padre modello, ma ha contribuito a creare la persona che sono oggi”.
Ma la loro storia fatta di amore e odio non si limita a questo.
Infatti Johnny Solo, dopo la richiesta di divorzio, portò i figli ad una partita di baseball nella vicina città di Yakima , ma finì per guidare oltre tre ore a ovest di Seattle, dove rimasero per diversi giorni in un hotel .
E quella che poteva sembrare, per gli occhi ingenui di due bimbi, una vacanza si trasformò in un rapimento.
Fu la polizia a trovarli ed ad arrestare il papà per presunto sequestro di persona.
Solo molti anni dopo si riuscirono a rincontrare ed a riallacciare uno stretto rapporto.
Nella sua autobiografia, “Solo: A Memoir of Hope”, racconterà che il padre non l’ha odiato, che in fondo l’ha capito, nonostante tutto: non era tutta colpa sua, dice Hope, non riusciva a rientrare nella società civile dopo essere stato in guerra.
Una storia che va avanti tra alti e bassi fino alla fine, quando il padre viene stroncato da un infarto.
Ma questa storia turbolenta non ferma la ragazza.
La sua vita calcistica, da centravanti, inizia dopo aver portato la sua squadra scolastica a un titolo statale.
Questa vittoria permette all’anatroccolo attaccante dinamico, di farsi notare e di dirigersi a Washington per diventare portiere. Ruolo che dominerà fino ad arrivare nel 1999 alla convocazione nazionale.
L’anno seguente, il 5 di aprile, fa il proprio debutto nella nazionale maggiore, in una gara contro l’Islanda.
Nel 2007, durante il campionato mondiale, si rende protagonista di una polemica contro il proprio allenatore, Greg Ryan, che nella semifinale contro il Brasile, persa poi per 0-4, le preferisce la “veterana” Briana Scurry, nonostante i tre rigori parati nella partita precedente; lo sfogo polemico al termine della partita costa alla Solo l’allontanamento dalla squadra in vista della finale per il terzo posto.
L’anno dopo, vince con la propria nazionale la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Pechino.
Ma la vita riserva sempre qualche sorpresa e così nel giugno del 2014 viene arrestata con l’accusa di violenza domestica ai danni della sorella e del nipote diciassettenne. Viene in seguito rilasciata senza cauzione anche se il procedimento penale nei suoi confronti è ancora in corso.
Ma si sa, l’America è disposta a perdonare tutto ad un vincente.
Così fino al 24 agosto 2016, quando la Federazione USA le ha sospeso il contratto, la Solo ha collezionato oltre 120 presenze, vinto due titoli olimpici (nel 2008 e nel 2012), un titolo mondiale (2015) e ottenuto un secondo posto nel campionato del mondo nel 2011; detenendo il primato di 1.054 minuti di imbattibilità della propria porta.
Un’atleta che ha, quindi, una padronanza spettacolare dell’area di rigore, una tempra indomita, un carattere rivoluzionario e irriverente, insomma un classico mito del calcio moderno.
Tutte qualità che la portano a far parte di quella élite calcistica mondiale che annovera tra i suoi membri i più grandi nomi.
Finita questa esperienza da professionista, ora, sta cercando la sua missione nel mondo fuori dal calcio. Assumendo un ruolo preminente nella lotta per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.
Chissà se nel prossimo futuro sentiremo ancora parlare di lei.