I danni arrecati al Centro dal fallimento di Calenda e Renzi.

Non c’è ancora, e non sappiamo se ci sarà mai, un nuovo soggetto in grado di contendere uno spazio elettorale al centro-destra e di attutire e magari marginalizzare il massimalismo della sinistra attuale.

La dura legge dei numeri anche questa volta, inevitabilmente, colpisce e affonda i partiti che non hanno saputo conquistarsi i consensi che erano stati da loro stessi immaginati o magari sognati. Azione e Italia Viva a pochi anni dalla loro nascita si avviano verso un mesto viale del tramonto fra abbandoni, litigi, accuse reciproche fra di loro e dentro ognuno di loro. Scriviamo il nome delle due formazioni politiche ma in realtà dovremmo scrivere il nome dei due loro ideatori, fondatori, promotori e gestori, insomma dei loro dominus assoluti: Carlo Calenda e Matteo Renzi. Sì, perché si tratta di due partiti-personali nei quali al di là di formali organi direttivi, assemblee interne, finanche (eventuali) congressi ogni decisione di rilievo, a cominciare dalla linea politica, viene presa dal leader e poi comunicata, magari prima all’esterno che all’interno del partito.

Il fallimento di Azione e di Italia Viva, cioè di Calenda e Renzi, è imputabile solo a loro, rei di aver illuso una parte di quell’elettorato non omologato al bipolarismo forzato destra-sinistra con la lista elettorale del Terzo Polo e poi di averla, quasi subito e inopinatamente, distrutta. Seppellendo, con essa, l’idea stessa di un Centro politico autonomo e imperniato sulla capacità di analisi e di progetto, su un’idea di politica saggiamente orientata alla mediazione (che non significa compromesso), alla moderazione (che non significa moderatismo), al confronto con le altre parti politiche (che, appunto, non significa scontro perenne).

Questa era l’idea, per la verità già tradita nelle premesse dalle personalità fumantine dei due dominus, poco inclini alla mediazione (sulla leadership, fra di loro); alla moderazione (nelle loro affermazioni lanciate via social, ovvero i canali di comunicazione che nell’ultimo quindicennio hanno contribuito enormemente alla decadenza della politica da arte del ragionamento – come insegnava il grande Ciriaco De Mita – a luogo di insulti); al confronto, presto degenerato in scontro fra loro due.

Il problema, ora, è che questo fallimento (mascherato da una insistita iniziativa organizzativa e mediatica, al momento più spregiudicata da parte di Renzi e invece più ancorata all’idea originaria da parte di Calenda, che però dei due è quello che palesemente ha accusato di più il ko ricevuto e quindi stenta a rialzarsi dal tappeto) ha portato con sé anche il fallimento dell’idea stessa del Centro, di per sé già difficile da affermarsi in un contesto reso bipolare sia dalla legge elettorale (soprattutto) sia dalla logica binaria dei social, luogo oggi – dannatamente – prediletto dai frequentatori della politica, spesso solo saltuari e conseguentemente superficiali, poco inclini all’approfondimento e dunque portati a semplificare: di qua o di là, è più facile, più veloce, meno faticoso. Tanto è vero che pure chi non si ritrova in questo schema poi lo adotta, rifugiandosi nell’astensionismo, terzo lato del triangolo forzoso e forzato nel quale la politica non solo in Italia, come vediamo ogni giorno in Europa e negli Stati Uniti, si è ormai ingabbiata.

I danni provocati dal duo Calenda-Renzi sono dunque enormi. Non solo perché, come detto, hanno azzerato l’idea o anche solo l’ipotesi che potesse nascere in Italia un Centro politico nonostante la presenza di una legge elettorale ad esso ostile. Ma anche perché hanno reso ancor più difficile la possibilità di (ri)creare un centro-sinistra e un centro-destra più omogenei all’imposizione bipolare intorno a quegli elementi di mediazione, moderazione, confronto indispensabili per il governo di un Paese evoluto e complesso che la permanente guerra mediatica fra le estreme accantona e spesso annulla, con danno per tutti.

Eppure questa esigenza rimane. Un astensionismo al 50% lo dimostra al di là di ogni dubbio, di ogni perplessità. Ed infatti qualcosa, a destra, sta cominciando a muoversi, sotto l’impulso – manco a dirlo – dei fratelli Berlusconi, come il padre interessati soprattutto alle proprie aziende e quindi inevitabilmente anche alla politica.

Purtroppo, al contrario, tutto tace a sinistra, dove continua a immaginarsi quel fantomatico “Campo Largo” che ben che vada assomiglia alla fallimentare “Unione” del 2006/7 invece che all’esaltante Ulivo del decennio precedente. Non c’è ancora, e non sappiamo se ci sarà mai, un nuovo soggetto, che per comodità chiamiamo “nuova Margherita”, in grado di contendere uno spazio elettorale al centro-destra e di attutire e magari marginalizzare il massimalismo della sinistra attuale (il PD schleiniano, AVS, il M5S contiano, ammesso e non concesso che quest’ultimo sia davvero di sinistra, affermazione sulla quale sarebbe azzardato scommettere). Per il ruolo, con la consueta abilità tattica, si è per la verità autoproposto Matteo Renzi. Ma con una credibilità ormai ridotta ai minimi termini, e infatti la mossa è stata ben poco apprezzata, da quasi tutti. E quindi quello spazio, che pure c’è ed è decisivo, rimane vuoto.