I (RI)COSTRUTTORI DEL FUTURO. IDEE E PROPOSTE SUL FUTURO DEL CENTRO.

È il momento di unire tutti i liberali, popolari, riformisti e moderati, che hanno la voglia e il coraggio di condividere un programma PER l’Italia e non solo per arginare il bipopulismo.
Pubblichiamo volentieri lo stralcio della prima parte di questo “Istant eBook” di Dicone, rinviando al link posto a fine pagina per accedere al testo integrale.

 

Se sei populista, sovranista, comunista o fascista, se credi nel bipolarismo forzato e selvaggio, se ami lo scontro e i toni accesi, se credi che la politica sia solo dire ciò che gli elettori-clienti vogliono sentirsi dire, se credi che la democrazia liberale sia un’eredità meritata ed eterna, se credi che la partecipazione alla politica sia inutile: non continuare a leggere, fermati qui e ti auguro buona fortuna.

Se credi nell’impegno civico, nella responsabilità civile di ogni cittadino, nella buona Politica e nella capacità che essa determini la nostra vita: continua pure.

Questo libretto digitale è dedicato a chi vuole riformare la Politica, con impegno gratuito e passione civile, per il bene comune e per la propria comunità.

Introduzione:

I governi del “cambiamento” (Conte e Meloni), al varo della prima legge di bilancio, come previsto da molti attenti osservatori, dimostrano che le promesse elettorali sono solo un lontano ricordo.
Nei sondaggi e nei commenti sui social network, si inizia a intravedere l’insofferenza di tanti italiani che avevano creduto, in buona fede, alle affascinanti promesse elettorali. Gran parte della classe dirigente continua a colpevolizzare la scelta e la voglia di cambiamento degli italiani, commettendo il più grave errore che un politico possa compiere.
Continuando ad essere “snob”, si finirà per favorire il nazional-populismo che si nutre proprio della contrapposizione popolo-élite. Dire semplicemente “noi siamo più competenti” non ridurrà la voglia di cambiamento dei cittadini. I dati dei vari sondaggi lo dimostrano, Lega e 5 stelle non crescono più, tra poco inizierà la parabola discendente di Fratelli d’Italia, ma l’unico partito che cresce continuamente è quello dell’astensione.
Lavorare ad una nuova proposta politica è l’obiettivo a cui dovremmo ambire. La voglia di cambiamento e la richiesta di partecipazione attiva, vanno ascoltate con attenzione empatica.
È necessario essere umili, usare un linguaggio nuovo, veicolare idee e proposte utilizzando i nuovi media.
È indispensabile organizzare, dal basso, un nuovo impegno civico, culturale, sociale e politico dei “non schierati”, partendo dall’elaborazione di una piattaforma programmatica partecipata e condivisa.
Libertà, responsabilità, solidarietà, emancipazione e partecipazione, saranno i cinque principi a guidarci nell’elaborazione di un nuovo pensiero politico.
Mettiamo insieme le tante idee che in questi mesi, tantissimi amici hanno proposto e uniti possiamo (ri)costruire l’Italia.

Il contesto politico e la “domanda”.

Dall’attuale classe dirigente politica, risuonano i soliti accordi: “o di qua o di là”; “ripartire dal fronte contro le destre o le sinistre” a seconda di chi parla; “il voto utile” come se ci fossero voti inutili; “si vince al centro” questo è il più pericoloso, perché di solito vogliono solo il nostro voto, ma mai il nostro contributo ideale e programmatico; e tanti altri messaggi di cui la maggioranza degli italiani è davvero stanca, basta guardare i dati dell’astensionismo ragionato.
Parole vuote che ritornano ad ogni campagna elettorale, come se per governare un Paese bastasse essere contro qualcuno o qualcosa.

Sono 30 anni che siamo costretti a subire questo schema destra contro sinistra e dopo tutti questi anni, nessuno dei protagonisti dice la verità: “questo sistema in Italia non funziona”.
Da troppi anni, la politica italiana cerca di trovare il giusto equilibrio dal post tangentopoli e dal post muro di Berlino. Due eventi che cambiarono la politica e che costrinsero la classe dirigente, a trovare soluzioni per superare la forza degenerativa della partitocrazia e il superamento delle ideologie del ‘900. Le ricette sono state utili? Abbiamo migliorato la politica? Premetto che le due esigenze erano preminenti e che nuove soluzioni erano doverose e necessarie, ma penso che la risposta, ai due quesiti, non possa che essere negativa.

Esaminiamo le trappole che hanno ingabbiato la politica italiana:
-Maggioritario. Il nuovo sistema elettorale avrebbe dovuto garantire la stabilità dei governi. Il risultato negativo è oggettivo, negli ultimi 15 anni abbiamo cambiato 1 governo ogni 18 mesi, in Germania, con il proporzionale, la Merkel ha governato per 15 anni;
-Leaderismo. Altra trappola causata dal cambio del sistema elettorale e quindi del sistema politico, è stata l’introduzione della figura del leader maximo. Un capo a cui si deve dire sempre di sì, che sceglie la classe dirigente del “proprio” partito in base alla fedeltà e non alla meritocrazia e alle competenze. Un capo che quando va in TV scatena la tifoseria, guarda lo share e i sondaggi del giorno dopo;
-Partiti “vuoti”. Siamo in presenza di comitati elettorali del capo non di partiti, semplici club del leader che comanda e decide la linea politica, in alcuni casi senza neppure svolgere congressi e laddove si svolgono si fanno primarie per scegliere il capo. Il capo elimina il rapporto tra elettori e classe dirigente locale, poiché tutto deve essere lo “specchio delle sue brame”. Chi non condivide la linea del capo del momento, fa un altro partito personale e così fino all’infinito.
-Immediatezza. Tutto deve essere veloce, immediatamente misurabile. Ogni azione deve essere supportata da un vantaggio elettorale anche a scapito del Paese. Il ragionamento, la riflessione e il tempo, sembrano essere categorie politiche contrarie alla logica dell’accattonaggio mediatico.

Se vogliamo liberare la politica italiana e quindi ricostruirla, dobbiamo intervenire sulle trappole. Dobbiamo passare ad una legge elettorale proporzionale con voto di preferenza, dove ogni partito presenta il proprio programma, i propri candidati, le proprie idee e i propri valori agli elettori; dobbiamo costruire partiti solidi, aperti, partecipati, con regole certe di democrazia interna e con un pensiero politico alla base.
Noi centristi, ingabbiati più di altri in questi anni, dobbiamo riscoprire il senso delle nostre, diverse ma affini, culture politiche. Dobbiamo usare il digitale per incontrarci, condividere e decidere, dobbiamo coltivare un nuovo albero che abbia radici solide, dobbiamo superare lo scontro tra chi è stato a destra e a sinistra, dobbiamo riscoprire la passione per la politica e farla conoscere a tanti giovani che “domandano” ma non trovano un'”offerta” credibile.
Dobbiamo liberarci dalla trappola del bipolarismo forzato, dobbiamo essere liberi di unirci.
Alle ultime elezioni politiche, del 25 settembre 2022, si sono astenuti il 36% degli aventi diritto al voto, nel 2018 non hanno votato il 30% degli elettori, alle ultime europee 1 elettore su 2 si è astenuto. Nei vari sondaggi elettorali circa il 40% si dichiara indeciso o non sceglie. I numeri dell’astensionismo hanno raggiunto un limite davvero pericoloso, siamo in una fase di grave malattia per la nostra democrazia.
Se perfino alle comunali, elezioni nelle quali si scelgono i rappresentanti delle comunità locali, vota solo 1 cittadino su 2, vuol dire che il bipolarismo è morto per volontà degli elettori.

Affluenza (2021) nelle 5 grandi città al voto: Roma 48,83%; Milano 47,69%; Bologna 51,87%; Torino 48,06%; Napoli 47,19%.
Nei vari commenti dei politici di destra e sinistra, il problema della continua disaffezione sembra non essere una priorità. Ognuno festeggia il proprio risultato, senza tener conto che il primo partito italiano è proprio quello del non voto.
Una democrazia matura non dovrebbe tener conto della rassegnazione dei propri cittadini? Quanti cittadini non votano perché stanchi degli urlatori di professione?
Quanti elettori non si sentono rappresentati dagli attuali blocchi contrapposti?
Quanti elettori si dichiarano né di destra, né di sinistra?
Un sondaggio, del 2019 di Demos & Pi, fotografa l’autocollocazione politica degli italiani, in modo evidente: il 31%, degli intervistati, non si dichiara di nessuna area politica tra destra e sinistra, il 14% si dichiara di destra mentre il 13% di sinistra.
In mancanza di culture politiche “forti” e non liquide, questo dato aumenterà sempre più? Personalmente penso sia inevitabile.

Se i due blocchi di sinistra e destra continuano a litigare su tutto, come può la maggioranza silenziosa della popolazione sentirsi rappresentata? Se non fai parte di nessuna delle due “curve” come puoi sentirti parte di una comunità politica?
L’altro dato da evidenziare, che personalmente mi sembra interessante, è il 9% di chi si dichiara di centro. In attesa di partiti e movimenti dichiaratamente centristi, indipendenti e autonomi dalla destra e dalla sinistra, mi sembra un risultato inatteso e insperato, un terreno da coltivare per superare gli estremismi, per (ri)costruire la nostra area politica.
L’analisi post voto (europee 2019) di Ipsos, mostra invece i voti realmente espressi per autocollocazione politica: chi si dichiara di centro, nella maggioranza dei casi non vota. Il 42,3% dei centristi non ha partecipato al voto, rappresenta la maggioranza degli astenuti. Altra considerazione da fare è il voto, dei centristi, per i partiti candidati alla competizione elettorale: il 34% ha votato Lega, il 23,9% M5S e solo il 13,2% per il PD e il 12,3% per FI.
Penso sia evidente che, in assenza di un partito, movimento, coalizione, federazione di centro, i cittadini che si dichiarano di questa area politica, o non vanno a votare oppure votano per le liste che “promettono” un cambiamento.

Le elezioni comunali del 2021, hanno confermato, se ancora non fosse chiaro a qualcuno, che la “domanda politica” per un nuovo progetto centrale, esiste ed è sempre più forte, il bacino elettorale del 20% esiste e solo chi non ha visione politica può non notarlo.
Questa percentuale, oltre che da vari sondaggisti, è confermata anche dalle urne, basta guardare il risultato delle comunali nella capitale d’Italia.
Altro dato da evidenziare, è la differenza tra le piccole percentuali che hanno ottenuto le liste di centro, apparentate a sinistra o destra, e l’ottimo risultato ottenuto da liste autonome come nella capitale o in altre città importanti.
Adesso, finalmente, c’è l’esigenza diffusa tra i cittadini di poter votare e partecipare ad un nuovo progetto, culturale e politico, centrale, indipendente e autonomo.
Ho raccolto alcuni sondaggi che fotografano, in maniera incontestabile, l’esigenza di molti italiani di avere una nuova offerta politica di centro, che vuol dire né con i populisti e né con i sovranisti, ma anche che non abbiamo bisogno di soluzioni del ‘900, ma dobbiamo guardare al futuro con quel sano “pragmatismo solido”, che contraddistingue un’azione politica radicata nelle culture politiche del liberalismo, del popolarismo e del riformismo, ma senza barriere ideologiche che ne possano affossare l’elaborazione concreta del programma politico.

Il sondaggio SWG del 16 novembre 2021, mostra che il 22% degli intervistati “ritiene che ci sarebbe bisogno di un nuovo partito” nell’area di centro, di questi il 12% pensa che debba essere “slegato sia dal centrosinistra che dal centrodestra”; il 23% vorrebbe un nuovo partito “fuori dall’asse destra-sinistra”, ma senza autodichiarsi di centro. Il 55% degli intervistati, la maggioranza, ritiene opportuno un nuovo progetto politico capace di superare il duopolio sinistra-destra.
Da non sottovalutare è il 18% che vorrebbe un nuovo progetto nel “centrodestra moderato” e l’11% che lo vorrebbe nel “centrosinistra moderato e riformista”. Tutti dati che dimostrano la volontà di creare un nuovo schema politico, fuori dalle logiche dello scontro diretto tra i due poli.
Ma cosa chiedono gli elettori intervistati, che vorrebbero un nuovo soggetto politico nell’area di centro?
Il 35%, la maggioranza, ritiene che il nuovo partito dovrebbe occuparsi di ridurre l’evasione fiscale e la corruzione, poi qualcuno racconta che questo tema non sia remunerativo dal punto di vista elettorale. Altri temi sono “sostenere una crescita economica inclusiva” (28%), “ridurre le disuguaglianze sociali” (28%) e rendere lo Stato più moderno ed efficiente (27%).

Su questi temi è possibile trovare insieme le soluzioni? Io penso di sì, basta farlo con passione, umiltà e senza alcun retropensiero di tipo personale, il carrierismo verrà dopo e per chi lo vorrà. Continuo a pensare che sia arrivato il momento di mettere in campo merito, competenze e talenti, ognuno di noi deve assumersi il suo piccolo pezzo di responsabilità civica.
Adesso abbiamo il compito di mettere insieme donne e uomini, associazioni e movimenti, per tentare di trovare insieme temi e soluzioni condivise, affinché il nuovo progetto non sia solo una semplice operazione elettorale.
Dopo tutti questi numeri, penso sia evidente che la domanda ci sia e che sia notevole, in politica però le semplici addizioni non fanno mai la somma sperata. Ci vuole coraggio, pazienza, determinazione e umiltà.
Dobbiamo far crescere sempre più la voglia di guardare con fiducia al futuro della nostra area culturale e politica. Convinti che il centrismo non sia opportunismo tattico, non è solo la “terza via” tra sinistra e destra, ma è soprattutto un’idea di futuro, che parte da valori e ideali, per arrivare ad un programma concreto e realizzabile per il nostro Paese, dobbiamo continuare a unire chi si riconosce nelle culture politiche del riformismo, del liberalismo e del popolarismo.

Senza etichette, senza barriere ideologiche tra noi, senza personalismi adolescenziali, ma mettendo insieme idee, progetti e proposte concrete per il nostro Paese.
A mio modesto parere, tre sono gli errori che non dobbiamo più commettere:
-non dobbiamo partire da “chi sarà il capo”;
-non dobbiamo partire da “con chi ci alleeremo”;
-non dobbiamo partire con frettolose denominazioni “centro riformista”, “centro popolare”, “centro liberale”, “centro moderato”. Tali definizioni rischiano di escludere chi non si riconosce nella singola cultura politica citata. Almeno in questa fase embrionale, parlerei di “centro ricostruttivo” e partecipato, perché senza la partecipazione della base, elemento fortemente caratterizzante, si rischierebbe l’ennesima operazione verticale. L’8% del cosiddetto Terzo Polo, può essere un ottimo punto di partenza, ma di certo non ci basta e per arrivare al potenziale bacino elettorale del 20% ricordiamo ciò che diceva Aldo Moro, nel 1944: “il centro non è statico ma dinamico, importante non solo come luogo fisico o geografico, ma come funzione politica a condizione di essere alternativo alla sinistra e alla destra”.

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