Non ci siamo. L’idea di Casini, quella di mettere insieme un po’ di ceto politico, da Bruno Tabacci a Mara Carfagna, passando per Carlo Calenda, riporta il dibattito sul “centro” al vecchio gioco degli organigrammi. È un’idea che fa del doroteismo una categoria eterna dello spirito. Non contano i programmi, né la cultura politica di riferimento. Essi appaiono superflui, inutilmente onerosi, al più decorativi. Lo schema di Casini è semplice: i moderati non sono rappresentati, dunque serve un coagulo di vecchi e nuovi “centristi” per attirare il loro consenso.
A seguire questa traccia, la medesima che condusse al fallimento nel 2013 (Scelta Civica) e ancor più nel 2018 (Civica Popolare), si mette in piedi un’operazione che può ambire, nel miglior dei casi, al salvataggio dei profughi del renzismo e del berlusconismo. Il suo valore strategico sarebbe infimo, se non addirittura inesistente. Dove andrebbe, questo “centro” raffazzonato, è presto detto: a stento, smozzicando poche parole d’ordine, si allocherebbe nei piani bassi della politica. Alla resa dei conti, sarebbe la fureria di qualche reparto militare, perciò lontano dallo stato maggiore dell’esercito.
Ora, mentre cresce nel mondo cattolico la riflessione attorno ai grandi temi del presente, l’ombra misera dell’eredità democristiana si restringe a vista d’occhio. Di tale squilibrio si coglie l’effetto negativo. Da un lato si ragiona e si discute, mettendo tanta carne a fuoco, dall’altro ci si limita a balbettare la lezioncina sul ruolo dei moderati. In questo modo, però, resta ingabbiata l’aspirazione a una possibile rinascita del cattolicesimo politico. L’impasse è sotto gli occhi di tutti.
Come uscirne? La domanda corre veloce, fa parte del confronto quotidiano, lascia in sospeso dubbi ed incertezze. Certo, non se ne esce alla maniera di Casini. Anche quando si individua l’esistenza di uno spazio politico, non è la sua occupazione a legittimare di per sé la nascita di un partito. Anzi, di un nuovo partito. Prima vengono le motivazioni politiche, anche capaci di suscitare attese e inquietudini, poi le movenze tattiche e le preoccupazioni contingenti. Il nuovo “centro” non può essere pensato come la sottile cartilagine tra le giunture di uno scheletro politico artificiale. In esso deve operare, per essere un vero “centro”, il lievito della speranza, altrimenti è inutile vagheggiarne il ritorno sulla scena.