Fonte Associazioni Popolari
Nel serrato dibattito su una possibile nuova stagione dei “liberi e forti”, sono decine gli articoli che hanno per tema il Centro, l’araba fenice del quadro politico italiano. Sul “Corriere” persino un cantore del bipolarismo come Angelo Panebianco ha invocato, suo malgrado, la costruzione di un Centro politico, dopo esserne stato il teorico della necessaria scomparsa, ritenendolo l’unico antidoto alla deriva populista. La conversione dell’illustre politologo, più che un esempio tra i tanti di incoerenza, pare – dal suo punto di vista – un segno si disperazione.
Per quelli come noi invece, sostenitori della democrazia rappresentativa, in un Parlamento eletto con metodo proporzionale, e diffidenti verso ogni autoritarismo – anche abilmente celato di volta in volta sotto ragioni di efficienza, governabilità, rimozione delle caste e altri nuovismi assortiti – l’evocazione di un Centro riedificato sulle macerie del bipolarismo muscolare non può che essere una bella prospettiva.
In uno dei suoi articoli, Giorgio Merlo ha poi ben definito le caratteristiche politiche del Centro: “una rinnovata cultura della mediazione; un vero riconoscimento del pluralismo sociale e culturale; un forte senso dello Stato e un rigoroso rispetto delle istituzioni democratiche; una vera ricetta riformista e una spiccata cultura di governo; una autorevole e qualificata classe dirigente e, soprattutto, una politica che sappia battere la radicalizzazione della lotta politica e introdurre la logica democratica del confronto e del dialogo attraverso il rispetto dell’avversario e non l’annientamento del nemico”. Se pensiamo alla cialtroneria dei tempi nostri e del recente passato targato Seconda Repubblica, il recupero di tali aspetti nella prassi politica sarebbe già “tanta roba”, per usare un’espressione di moda. E se un Centro politico nascesse e si caratterizzasse per questo modo di essere, certamente segnerebbe una positiva discontinuità con l’esistente.
Credo però che questo identikit del Centro sia incompleto, perché si ferma al metodo.
Se nelle istituzioni la forma diventa anche sostanza (pensiamo al nostro Presidente della Repubblica, che di sostanza propria ne ha comunque tantissima), nella politica la forma non è sufficiente. Così come non è sufficiente che esista uno spazio teorico nel panorama politico per decretare il conseguente successo di un partito che si autoproclama rappresentante di quel vuoto. Non basta quindi invocare il Centro, dichiararsi di Centro per attirare e rappresentare una porzione di elettorato. Anche il Centro deve avere un’anima e non essere soltanto un luogo geometrico occupabile da sedicenti “centristi” o “moderati”, altro termine abusato e di poca consistenza, come abbiamo già visto.
Se i democratici popolari di ispirazione cristiana vogliono ritornare nell’agone politico hanno una sola strada seria da percorrere, e per nulla agevole: quella – e uso le parole di Carlo Baviera – “di ripartire dai contenuti, da un programma, più che dal contenitore”. Perché sono le proposte concrete di governo che devono caratterizzare la nostra presenza sulla scena politica, la ricerca del consenso, la politica delle alleanze. È sempre Baviera a ritenere “che questo tempo richieda lo sforzo di restare anche organizzativamente collegati fra quanti hanno obiettivi comuni sulle grandi questioni da affrontare: il clima, il lavoro e le regole da imporre a livello generale, il welfare da ripensare ma non da ridurre, la rivoluzione digitale, le migrazioni cui dare sbocchi di integrazione e risposte civili, l’Europa da rilanciare e da democratizzare togliendola ai Capi di Stato e di Governo, le politiche di natalità e di supporto alle realtà famigliari, ricostruire i corpi intermedi e dare spazio alla partecipazione, la politica di pace”.
Tradurre tutto ciò in un realistico programma di governo – ovviamente ispirato dai valori etici e politici di riferimento che ai Popolari non mancano – è dare una identità allo strumento (partito o movimento autonomo, oppure contenitore plurale) che verrà individuato dal confronto comune per affrontare i marosi della lotta politica.
Già, l’identità. Mi ha stupito l’ultima netta presa di posizione di Merlo: “Basta con i partiti identitari”. Conosco Giorgio da troppo tempo per pensare che si sia convertito alla vacua superficialità della politica dell’“oggi qui, domani là”, del posizionamento di convenienza. Se intende come “identitario” il partito “dei cattolici” o “di cattolici”, usiamo la corretta dizione di “partito confessionale” e sfondiamo insieme una porta aperta nel richiamare l’assoluta laicità dell’impegno politico, di cui ci sono stati maestri per primi don Sturzo e De Gasperi.
Ma “identitario” può – e deve – essere un partito con una solida base etica che si esprime e si sostanzia in un coerente e dinamico programma di governo. L’alternativa al “partito identitario” sono i contenitori senz’anima, con alcuni tra i soliti noti che cercano un posizionamento per collezionare l’ennesima rielezione. Anche operazioni di questo tipo sono state ultimamente bocciate dagli elettori. Pare improbabile che un rassemblement promosso da Casini, Tabacci, Calenda e forse Renzi – con l’adesione di “cattolici” in ordine sparso – riesca a scaldare i cuori di chi si è rifugiato nell’astensione o ad attirare consensi dai due terzi di votanti che si sono affidati ai populisti. Occorrono politiche anche coraggiose, e una classe dirigente credibile, che quindi non può essere la stessa coinvolta nei rovinosi fallimenti della Seconda Repubblica.
Hanno ragione tutti coloro che sostengono la necessità di ricostruire una presenza sul piano culturale e prepolitico, ma il tempo rischia di essere insufficiente e occorre lavorare in parallelo con una diretta azione politica.
Lorenzo Dellai ha delineato nell’incontro da noi organizzato a Torino e poi nel suo ultimo articolo un percorso condivisibile, che passa attraverso una ricomposizione dei democratici popolari di ispirazione cristiana, oggi più attivi e speranzosi (anche merito del centenario del PPI sturziano) ma sempre dispersi in mille rivoli. È vero ciò che ha sottolineato Merlo: tutti i recenti tentativi di cimento elettorale sono finiti con percentuali insignificanti. Ma non hanno fallito perché identitari: piuttosto perché egocentrici e autoreferenziali.
Se ciascuno pensa di poter far da solo, è inesorabilmente condannato allo zero virgola. Occorre avere l’umiltà di far retrocedere l’io per far compiere insieme un grosso passo avanti al noi.
Va insomma recuperato il senso della comunità politica, come ha scritto Dellai. Questa è la prima sfida da vincere: dipende solo da noi, ma non è scontata.
Nel nostro piccolo abbiamo proposto una adunata nazionale delle nostre realtà convocata dalle tre testate on-line che rappresentano il popolarismo e promuovono il dibattito politico tra i cattolici democratici. Era un modo per uscire dai personalismi (chi convoca chi) che stanno frenando una iniziativa unitaria che tutti auspichiamo. Purtroppo remore e distinguo non hanno al momento permesso di procedere.
Dovremmo tutti riflettere sul fatto che se diventa complicato sederci in 5 o 6 intorno ad un tavolo per concordare un’assemblea aperta, rischiamo di non andare da nessuna parte su un progetto ben più ambizioso. Oltre ad anteporre il noi all’io dovremmo anche attuare quel consiglio che Merlo attribuisce a Rosy Bindi, “trafficare i propri talenti”. Non però nel senso di farli pesare in una trattativa di coalizione per ottenere spazi e poltrone, Invece nel senso di considerare ciascuno per i talenti che ha, e non solo per i difetti. Se Tizio parla male di Caio, che critica Sempronio, e questi vuole emarginare Tizio, i tre certamente non concluderanno nulla di buono.
Prima di gettare la spugna e dichiararci sconfitti dall’esasperato individualismo, male che non ha risparmiato la classe politica democratico cristiana, insistiamo sulla strada della ricomposizione insieme a quanti condividono l’obiettivo con lo stesso spirito aperto e inclusivo. Per l’11 luglio stiamo organizzando con tutte le realtà del Nord Italia con cui siamo in contatto (che non elenco per non dimenticare qualcuno) un pomeriggio di confronto sul percorso da intraprendere per creare un movimento nazionale autonomo, fortemente caratterizzato da contenuti programmatici, che possa riunire i democratici popolari di ispirazione cristiana e proporsi a tutti coloro che vogliono mettersi in gioco per superare i mali endemici del nostro Paese e restituire alle giovani generazioni una prospettiva di futuro.
Una tappa intermedia, in attesa che maturino – speriamo presto – i tempi per il coinvolgimento nazionale di tutti i “liberi e forti”.