IL CORTO CIRCUITO DELLA CRISI: QUALE AGENDA DRAGHI PUÒ ESISTERE SENZA DRAGHI?

Il Presidente del Consiglio dà prova di autocontrollo e guida questa fase difficile con mano ferma. Come si andrà alle elezioni del prossimo anno? L’idea di resuscitare la vecchia dialettica tra centrodestra e centrosinistra non è aderente alla pressione di nuove urgenze e prospettive. Intanto bisogna evitare la crisi di governo, poi servirà una mappa per orientarsi nella navigazione verso l’approdo elettorale.

In mezzo al frastuono le parole di Draghi risuonano nitide. Di questi tempi è già molto, più di quello che la sfibrata condizione politica mediamente può offrire. Ed è un pregio la chiarezza che si ricava ascoltandole, mentre l’accumulo delle altrui verbosità indica la stratificazione di discorsi ultimativi, residua frontiera del populismo. 

Stile e sostanza, dunque, polarizzano l’attenzione di chi accoglie questo eloquio di responsabilità, ma insieme di concretezza e speranza. Sicché le emergenze, gravide di minacce, sono affrontate con una dose elevata di consapevolezza e moderato ottimismo circa la tenuta del nostro Paese, di solito bistrattato. Il Presidente del Consiglio ne ha dato prova ieri sera alla cena organizzata dalla stampa estera: “Attraversiamo – ha detto – diverse crisi, dall’invasione dell’Ucraina, ai costi dell’energia, all’inflazione. Ma in un momento così difficile l’Italia resta un Paese forte. Forse è una novità, ma è forte. La nostra economia è in crescita anche se come dicono a Roma non bisogna allargarsi troppo, perchè i rischi restano. I dati sul fabbisogno e i conti pubblici vanno molto bene”. 

Ora, l’iniziativa di Conte ha messo a nudo la fragilità delle alternative che, a partire dalle mosse di questi giorni, sembrano proiettare le loro ombre sullo schermo delle elezioni del prossimo anno. Non si materializza alcuna proposta convincente, dato che l’esercizio di riabilitazione fisica delle vecchie coalizioni assomiglia a uno spettacolo di prestigiatori alle prese con il futuro. Il campo largo, vagheggiato a sinistra, fa pensare a misure catastali di una politica immaginifica. Eppure, in questa evocazione, un senso è possibile pure trovarlo: la formula di unità nazionale dovrebbe lasciare il posto a una nuova maggioranza, disegnata attorno al Pd, che metterebbe insieme i progressisti (e i moderati) coinvolti nel governo Draghi. Il punto è che l’instabilità dei Cinque Stelle, sotto la direzione di un Conte politicamente smarrito, rende tutto più complicato.

Altro è invece il discorso di Berlusconi. Tornato al centro della scena politica, come ama ripetere con insistenza, il vecchio leader di Forza Italia prospetta la resuscitazione del centrodestra e la sua vittoria elettorale, per guidare l’Italia attraverso un insieme di forze che oggi sono divise, stando FdI all’opposizione, ma che domani sarebbero unite proprio nell’attuazione della cosiddetta Agenda Draghi: continuità di programmi, si potrebbe insomma dire, ma discontinuità di assetto e guida politica. Può essere, questa, una proposta credibile? Se lo fosse, verrebbe allo scoperto l’amara trasformazione della politica in veicolo di mero impossessamento del potere, facendo sempre ricorso all’armamentario di slogan ad implicito connotato populistico. Dell’esperienza di Draghi, entro questa cornice di ambiguità, non rimarrebbe nulla.

L’auspico è che intanto giovedì al Senato non si consumi lo strappo e il governo venga messo al sicuro. I segnali, a riguardo, sono positivi. Anche i Cinque Stelle avvertono il rischio di una crisi senza sbocchi, con un lento e faticoso trascinamento, come che sia, verso la scadenza elettorale del 2023. Superato questo scoglio, bisognerà tuttavia capire come affrontare la navigazione in mare aperto guardando a un possibile approdo sicuro.