Il declino della politica si rispecchia nel crollo della partecipazione elettorale

Due grandi fenomeni si fronteggiano e s’intrecciano: da un lato, come dice Cassese, l’indebolimento della Pubblica amministrazione a causa dello spoils system; dall’altro, secondo l’analisi del Censis e di De Rita, la ritrazione dei cittadini dalla sfera pubblica. Così la politica deperisce.

Recentemente due autorevoli e accreditati osservatori come Sabino Cassese e Giuseppe De Rita, in altrettante interviste, hanno avuto modo di puntualizzare alcune evidenze critiche della politica, intesa come arte del buon governo e vista nell’ottica delle relazioni tra istituzioni e società civile.

Il giudice emerito della Corte Costituzionale, ex Ministro e fondatore di IRPA (istituto Ricerche Pubblica Amministrazione) di cui dirige il Magazine, si è in particolare soffermato sulla pratica dello ‘spoils system’ evidenziandone gli abusi e le degenerazioni. Di derivazione anglosassone – letteralmente ‘sistema delle spoglie’ – esso consiste nella consuetudine ormai consolidata di avvicendare l’alta burocrazia e la dirigenza dello Stato e degli Enti pubblici in occasione del subentro di un nuovo Governo: se pensiamo che ce ne sono stati 68 in 76 anni di Repubblica possiamo avere un quadro approssimativo della abnorme quantità di nomine apicali e incarichi di vertice, in nome di una corrispondenza di intenti, di deleghe di funzioni e di rassicurante fedeltà dell’azione burocratica agli indirizzi di governo. Cassese valuta con severità questa prassi sotto diversi profili di considerazione. Partendo proprio dal principio di fedeltà che i nominati e chiamati a ricoprire incarichi di responsabilità (sempre ben remunerati) dovrebbero riservare alla politica di governo.

Sottolineando come – invece – dovrebbe prevalere in loro uno spirito di terzietà che li renda servitori dello Stato e non dei loro mentori politici verso cui saranno inevitabilmente debitori dell’alto incarico ricevuto, sovente declinabile in un atteggiamento di obbedienza, sudditanza e acritica benevolenza.

Si tratta di una pratica che ha costi enormi di esercizio e non garantisce la dovuta imparzialità nell’esercizio di una funzione resa a servigio della comunità e del bene comune.

Ne deriva che il rapporto di vassallaggio che si instaura tra chi attribuisce una funzione di alta responsabilità e chi ne è investito fa inevitabilmente precedere il criterio dell’appartenenza a quello della competenza. Questo genera inevitabilmente una sorta di ingiustizia sistemica, poichè non vengono scelti i migliori ma i più fidati, che nel posizionamento ai nastri partenza dei potenziali prescelti li identifica in base al colore politico o all’orientamento ideologico, a pregressi rapporti di conoscenza personale e di messa alla prova. Non è – ribadisce Cassese – la competenza specifica per il ruolo a cui si è chiamati e la funzione che si dovrà esercitare il discrimine della scelta: non ad esempio la formazione e il titolo di studio, non l’esperienza consolidata con profitto, non la garanzia di una necessaria neutralità basata su requisiti tecnici e professionali ma il rapporto fiduciario che si va ad instaurare. In teoria anche questo requisito avrebbe una valenza positiva se reciprocamente politica e burocrazia funzionassero in sintonia per un fine alto e superiore alle parti: difficile tuttavia resistere all’influenza che gli apparati subiscono inevitabilmente dai decisori politici. 

A sua volta il Presidente e fondatore del Censis Giuseppe De Rita, da sempre attento osservatore delle dinamiche istituzionali e politiche e delle loro ricadute, cultore dell’intermediazione che vede in progressivo declino e assertore di derive partecipative ed inclusive, lungimirante interprete degli orientamenti e dei posizionamenti sociali dal dopoguerra ad oggi, mette il dito sulla piaga della prevalenza degli slogan e delle promesse elettorali sulle effettive capacità di buon governo della cosa pubblica. Questo genera una sorta di appiattimento cieco e di omologazione coatta nelle decisioni che riguardano la guida del Paese, che smentisce i proclami e le illusioni della vigilia del voto. Con raro pragmatismo e capacità di penetrare, leggere e interpretare la stagnazione socioeconomica dell’eterno presente, De Rita spoglia la realtà dalle sue rappresentazioni utopistiche e simboliche e ci dimostra come ogni effettivo cambiamento necessiti di tempi e procedure che lo rendano metabolizzato nel tessuto sociale: oltre questo accreditamento tangibile restano il flatus vocis degli affabulatori autoreferenziali ed un corpo sociale refrattario e resiliente. 

Anche la politica gioca la sua carta della resilienza: difendere ad oltranza il perseguimento di finalità di autotutela del potere da un lato e indifferenza verso un possibile rapporto più diretto, aperto e di ascolto della società per la promozione del bene comune, dall’altro. Non è azzardato prevedere un ulteriore allargamento del gap tra Paese legale e Paese reale, il cui primo segnale è dato da tempo dalla progressiva “ritrazione silenziosa dei cittadini dimenticati dalla Repubblica” come la definisce il Direttore Generale del Censis Massimiliano Valerii, che si legge nel crescente astensionismo elettorale (per le regionali in Lazio e Lombardia non si sono recati alle urne quasi 6 cittadini su 10, il 39% alle politiche del 2022). Ci avviciniamo mica tanto lentamente alla soglia del 50% dei non votanti su scala nazionale, che sancirà l’unica vera Riforma implicita possibile: la fine della democrazia rappresentativa e il consolidamento della casta degli oligarchi che succedono a se stessi.