C’è grande attesa per l’uscita, il 10 ottobre prossimo, del nuovo album della cantautrice Annalisa: “Ma io sono fuoco”. Un titolo di cui l’artista stessa e non pochi commentatori stanno già spiegando il senso. Vi è, ad esempio, il rimando a un brano del bellissimo saggio di Jorge Luis Borges “La nuova confutazione del tempo”. Le cose mutano e, insieme, tornano; cambiamo e restiamo noi stessi. Per dirla con Francesco Guccini, “io son sempre lo stesso, sempre diverso”. È il mito dell’araba fenice, che risorge dalle proprie ceneri. In altre parole: il fuoco brucia e divora, il fuoco fa rinascere.
Del resto, il tema della metamorfosi è stato anticipato, tra l’altro, dal recente brano singolo della stessa cantante “Maschio”, intimamente legato al tema dell’empatia.
Insomma: non si tratta solo di un fenomeno del costume e del tempo libero. Come continua a insegnarci Kant, l’arte esprime quel che non si può propriamente concettualizzare e, in tal modo, dà da pensare. Allude, evoca, suggerisce.
Proprio per questo, mi sento di rinviare “il fuoco di Annalisa” a quello di Eraclito, il filosofo di Efeso del VI-V secolo a.C., sul quale rifletto da anni. Poniamoci in ascolto di un frammento: “Questo ordine, lo stesso per tutte le cose, non è stato fatto da dio o da uomo, ma era ed è e sempre sarà fuoco eterno, che si accende secondo misura e si spegne secondo misura”. Il fuoco non è mai uguale a se stesso, muta in ogni istante, eppure è perenne. Come dire: il divenir altro da sé e il restar sestessi.
Ecco, forse anche la politica, per ricongiungersi alla vita delle persone in carne e ossa, dovrebbe porgere cuore e orecchio a fenomeni e considerazioni del genere: altrimenti, come affrontare questioni come l’identità e l’alterità, il disagio dei ragazzi, degli anziani o di tantissime donne, l’incredibile accelerazione della velocità dei cambiamenti, i vissuti di smarrimento individuali e collettivi?