I problemi esistono in tutti gli schieramenti. Guai a concedere troppo spazio alle alchimie di partito. Mentre si affilano le armi e cercano nomi e argomenti convincenti, la bramosia del potere e gli interessi di parte suscitano nel popolo sentimenti contrastanti: sono troppi i problemi irrisolti da tempo.
Francesco Provinciali
Si voterà il 25 settembre dunque ma mettere insieme la riduzione del numero dei parlamentari con le nuove circoscrizioni (230 deputati e 115 senatori in meno), depositare i simboli dei partiti tra il 12 e il 14 agosto, le candidature nei collegi uninominali tra il 21 e il 22 agosto, con un occhio di riguardo al sistema elettorale in vigore, calcolare i passaggi di squadra a cavallo del benservito a Draghi e comprimere tutto in un meno di un mese è come far entrare un cocomero intero in un frullatore, risolvere il cubo di Rubik in trenta secondi o giocare in 9 contro 11 con il Real Madrid. Di Maio l’ha combinata grossa, ma erano i tempi in cui era ancora impegnato nel tentativo di scardinare la scatola di sardine e si affacciava salutando ai balconi del Palazzo. Ma ciò che al comune cittadino pare un rebus incomprensibile per i partiti potrebbe risolversi in un organigramma deciso a tavolino da tre o quattro teste pensanti.
Le gerarchie interne, al netto dei mal di pancia sui nomi e delle inevitabili trombature da mettere in conto, funzioneranno 24 h su 24 per assemblare gioiose macchine da guerra: la posta in gioco è alta e non si può fallire. Possiamo sempre contare sulla generosità dei politici in carriera, già ben incardinati nelle istituzioni: Zingaretti ha annunciato che lascerebbe la presidenza della Regione ma solo dopo l’elezione al Parlamento, non si sa mai, Berlusconi ridimensiona i fuoriusciti da FI con l’aiuto dell’On.le Fascina e promette pensioni minime da mille euro e un milione di alberi da piantare ogni anno. Chi ricorda il milione dei posti di lavoro sa che lui arrotonda sempre, per eccesso, con una lungimiranza ineguagliabile. La statura del leader ce l’ha tutta, è fuori discussione: perciò si candiderà contando su Salvini che gli avrebbe promesso la Presidenza del Senato.
La Meloni prepara liste dei candidati e dei ministri sicura dei sondaggi che proiettano FDI verso il primo posto ma lo fa, bisogna ammetterlo, con discrezione, anche se il PPE indica in Tajani il proprio nome per Palazzo Chigi: ma al netto del risultato del voto puntualizza Salvini, che punta al sorpasso dopo il pit-stop del Papeete. A sinistra il “campo progressista” si allunga e si accorcia come il letto Procuste ma pare – ascoltando Enrico Letta che non ci sarà alcuna alleanza con i 5S. Ciò irrita Conte che non accetta la politica dei due forni, alleati alle amministrative e divisi alle politiche, si attendono intanto nell’ordine: che venga sciolto dall’Elevato il rebus del doppio mandato, che Di Battista rientri dalla Siberia ( se ancora vi si trova in mandato esplorativo) e decida di farsi tentare dalla discesa in campo, che altri incerti sulle profezie della democrazia virtuale lancino il dado e passino il Rubicone, entrando in ‘Insieme per il futuro’ o aggregandosi a formazioni minori. Il Centro potrebbe riservare sorprese, dipenderà da quanti ne faranno parte: la convergenza di postulanti, invitati e convitati si fa insistente, entrano ed escono nuovi soggetti politici come dalle porte girevoli del teatro di Feydeau.
Intanto dopo i no-tav, no tap, no-vax, i terrapiattisti e i negazionisti ’full optional’ si sta organizzando la propaganda dei ‘no-voto’: il bacino di pescaggio degli astenuti è notoriamente ampio, a differenza di quello attuale dei fiumi, è che tutti guardano in quella direzione, per convincere la gente a votare e a far pendere la bilancia a destra o a sinistra. Come detto il Centro potrebbe essere l’ago della bilancia: è talmente rarefatto e suscettibile di crescenti adesioni da aspirare davvero – sommando gli addendi – a conseguire al voto un risultato a due cifre. Ma mentre destra e sinistra possono consolidare alleanze già sperimentate o impiantarne di nuove, per forza di attrazione, il Centro diventerebbe nella migliore ipotesi un rassemblement come auspicato da Renzi: il problema è che quella a cui si vuole dar vita è un’alleanza elettorale di vertice di soggetti politici esistenti, l’area di raccolta comprende partiti già formati e soprattutto i rispettivi capi. Anche in periferia, cioè tra noi comuni mortali, si pensa a quando il centro era garanzia di stabilità di governo, ovvero si immaginano e si compongono formazioni nuove, che nascono dal e nel territorio, anche senza nostalgie per il passato. Il dubbio riguarda la forza di penetrazione di questo associazionismo locale nei cfr. di chi è già seduto al centro dell’emiciclo parlamentare e ci vuole restare.
In un mese sarà più facile che si compattino le forze del centro parlamentare in nome di un interesse comune, piuttosto che si realizzi la sperimentazione di soggetti nuovi di emanazione popolare. Ho letto molte disquisizioni sulla necessità di un centro federato che moderi le derive bipolari, analisi culturalmente ineccepibili e potenzialmente strategiche. Ma il tempo breve che resta potrà al massimo concedere, lavorando sul territorio, di negoziare un ingresso nelle alleanze guidate dai capi e capetti delle forze politiche esistenti. Più che attraverso assemblee o congressi – a cui difetta il tempo a disposizione- ciò si deciderà ai tavoli delle ovattate stanze dei palazzi romani. E mentre tutti affilano le armi e cercano nomi e argomenti convincenti, la bramosia del potere e gli interessi di parte suscitano nel popolo sentimenti contrastanti: troppi problemi irrisolti da tempo, troppe promesse, troppe illusioni.