Succede d’estate, quando il sole batte alto e la pelle profuma di salsedine. Siamo lì, sdraiati sul tempo lento delle ferie, mentre il mare canta in sottofondo la sua cantilena antica. Il palcoscenico è la sabbia, e noi siamo spettatori distratti.
All’improvviso, tra un sorso d’acqua e una pagina letta a metà, compare una figura. Cammina con passo costante, con una borsa piena di tutto e forse di niente. È uno dei tanti venditori ambulanti che attraversano le spiagge come satelliti attorno al nostro mondo spensierato. Hanno pelle bruciata dal sole e occhi profondi come pozzi di storie non dette.
Offrono elastici per capelli, braccialetti che luccicano al sole, occhiali, massaggi improvvisati sotto l’ombrellone. Le mani si muovono rapide, abituate a leggere i desideri fugaci dei bagnanti.
A volte si fermano. Ti guardano negli occhi e, con un italiano rotto ma sincero, ti raccontano un frammento della loro vita. Parlano della Cina, dell’Africa, di un villaggio, di una madre lontana. Parlano di sogni cuciti dentro a un borsone. Ti raccontano del mare, del freddo, della paura. Della speranza che non si spegne, anche quando l’orizzonte è solo un’idea.
E tu ascolti. Ti passa un brivido lungo la schiena, anche se il sole continua a bruciare.
Ti senti piccolo, lì, sotto il tuo ombrellone colorato. Ti accorgi che il mondo non è solo quello che hai prenotato su un sito mesi fa. Il mondo è lì, che cammina davanti a te, con una borsa e un cuore gonfio di passato.
È un’umanità migrante quella che popola le nostre spiagge. E mentre il mare bagna silenzioso i piedi dei passanti, capiamo che non è solo sabbia sotto di noi, ma terra comune.
Così, tra un venditore di cocco e uno di collane, tra chi chiede due euro per un’associazione e chi offre un sorriso, l’estate ci sbatte davanti la verità: il mondo non è altrove. È qui. Cammina sulla sabbia, sotto il sole che per noi è piacere e per altri è fatica. Hanno attraversato deserti e mari per arrivare dove noi ci lamentiamo del caffè troppo caro.
E mentre ci stendiamo di nuovo sul telo, fingendo di non vedere, loro continuano a camminare. Sempre un passo oltre la nostra distrazione.
Noi torneremo a casa, abbronzati. Loro continueranno a cercare un futuro che somigli, almeno un po’, a una vita normale.
Ma dentro quei passi, tra la sabbia rovente e le parole spezzate, c’è qualcosa che resta. Una speranza che non si arrende. Silenziosa, sì. Ma viva. E quel brivido che ci attraversa sotto il sole… non è solo compassione. È la vita degli altri che si avvicina alla nostra. E ci chiede, senza parlare: “Tu, mi vedi davvero?”.