Il museo è famoso per contenere un “pezzo” raro. Nella camera da letto è posto un manichino vestito di tutto punto, come un’anziana donna, in abito sardo. È lei la non unica ma più grande protagonista delle storie narrate dai mille e più oggetti raccolti, catalogati, esposti e custoditi in loco. Quella della “Agabbadora” è una figura tetra e lugubre.
Il Museo Galluras, a Luras. Il gioco di parole evoca una piccola realtà con un piccolo, grande polo culturale. Il Museo Etnografico è inserito in un palazzetto a tre piani di fine 1700, con il classico granito a vista, tipico della regione. Il percorso museale è su tre livelli, con ingresso e uscita attraverso il piano terra. Migliaia di oggetti, piccoli e grandi, testimoniano la vita delle generazioni passate in Sardegna e, in senso più ampio, nel nostro Paese: dagli antichi ferri da stiro a vesti contadine, tinozze e vasellame, forbici, roncole, attrezzi di tutti i giorni utilizzati nella stalla, in cucina, in camera da letto, che raccontano la storia dei nostri antenati. L’artefice di questo piccolo “miracolo” espositivo e divulgativo è Giacomo Pala. Il museo si trova in Via Nazionale 35, a Luras, una cittadina in provincia di Sassari, in cui i dolmen (Alzoledda, Billella, Ciuledda, Ladas …) e i nuraghe, immersi nelle campagne, da tempo immemore testimoniano che, già in periodo Neolitico (2700 a.C.) il territorio era abitato.
Il museo è famoso per contenere un “pezzo” raro. Nella camera da letto è posto un manichino vestito di tutto punto, come un’anziana donna, in abito sardo. È lei la non unica ma più grande protagonista delle storie narrate dai mille e più oggetti raccolti, catalogati, esposti e custoditi in loco. Quella della “Agabbadora” è una figura tetra e lugubre. Una figura arcaica, oscura, tenebrosa; ma anche pietosa e caritatevole. Lo spiegherò aiutato proprio da Pier Giacomo Pala, direttore del museo.
Direttore, quando e come ha avuto le ultime notizie della Agabbadora?
Mi occupo dal 1981 della figura e della pratica della Femina Agabbadora, quando da un anziano di Luras, in Gallura, vengo a conoscenza del tema. In questo spazio di tempo ho raccolto tante testimonianze l’ultima delle quali è del 2003. Intervisto un prete, chiamato a sostituire un suo collega in un paesino del centro Sardegna. È durante questa intervista che il sacerdote mi riferisce “nel mese di marzo una signora, tra gli 80/85 anni, si presenta al confessionale e con voce tremolante ma decisa pronuncia queste parole: “sono un’Agabbadora, il mio ultimo intervento è di un mese fa, con una mano ho chiuso naso e bocca di un malato terminale, e ho posto fine, con il soffocamento, alle sue sofferenze.”
Cosa significa, di fatto, “Agabbadora” in lingua sarda?
Il termine Agabbadora deriva dallo spagnolo/catalano e sardo “acabar”, ovvero finire, porre fine, terminare. Nella fattispecie porre fine alle sofferenze (…) La pratica dell’Agabbadora si pensa che risalga al prenuragico (…).
Per chi volesse visitare il museo, può farlo digitando su Google: Museo etnografico Galluras “il museo della Femina Agabbadora” ed apre su prenotazione. Da non perdere se, visitando la Sardegna, non volete accontentarvi del mare.