L’amico Nino Labate ha commentato un mio recente intervento sul ritorno alla politica di Enrico Letta, chiamato improvvisamente alla guida del Pd. Da oltre quaranta’anni conosco e apprezzo la sensibilità umana e l’intelligenza politica di Nino e, pertanto, ben volentieri interloquisco con lui. Per evitare equivoci, però, devo chiarire alcuni punti. Anche perché leggo delle sue affermazioni su cui registro un’ampia condivisione e capisco che ci possa essere stato qualche equivoco. Probabilmente la colpa è mia, ma cambia poco. 

Il primo, e più importante, è che non abbiamo affatto dato vita a un partito “cattolico”. Insieme, divenuto il naturale sbocco del lavoro prodotto nel corso degli anni da Politica Insieme ed altri gruppi, è un partito laico d’ispirazione cristiana. Chi ha familiarietà con il pensiero popolare e cristiano democratico non fatica certamente a capire la profonda differenza.

L’idea del partito “cattolico” è sempre stata estranea alla tradizione del popolarismo italiano di cui ci sentiamo parte integrante. In questo siamo sturziani: intendiamo distinguere il piano della religione, che è universalità, da quello politico che è confronto e, se necessario, divisione.

Non siamo partito “cattolico” perché non siamo ideologici, bensì programmatici, e perché ben abbiamo presente che, del resto, la Chiesa cattolica, unica tra quelle cristiane a sistematizzare una visione sociale, non ha mai pensato a formulare una Dottrina politica vincolante, anche se da san Paolo in poi si è sempre posta il problema dell’autorità, del suo fondamento e delle basi che ne giustificano l’esistenza e le caratteristiche.

Tutto ciò premesso, è evidente che al caro amico Nino interessa fare un ragionamento sul Pd e sui rapporti che con esso è possibile intrattenere.

Al Pd non rimprovero certo la visione sociale che si presume abbia a fondamento. Anzi, al contrario. Semmai, da tempo sono costretto a riflettere sul fatto che, purtroppo, è mancata la capacità, anche la volontà?, di essere conseguenti con la necessità di attendersi da una forza di centrosinistra che la si veda concretamente operare contro le disuguaglianze. Il prosciugamento dei voti dal Pd da cosa è originato? Dall’abbandono di sempre più larghe parte di strati operai e di ceto medio, mentre, anche nei lunghi anni di governo del centrosinistra, abbiamo registrato un notevole allargamento della forbice tra ricchi e poveri.

Noi non abbiamo alcuna nostalgia “centrista”. Parliamo della nostra autonomia: significa essere consapevoli di aderire ad un pensiero politico d’impronta originale e che sfugge alla logica del bipolarismo il quale ha estremizzato un confronto tra due sole opzioni, entrambe spesso guidate dalle posizioni più estreme dei due schieramenti, a fronte di una società molto più ampia ed articolata. 

Il porsi in alternativa ad entrambi i due fronti contrapposti non significa collocarsi in un centro indistinto e solo geometricamente concepito. Questi sono giochetti verbali intorno cui si sono consumati alcuni tentativi messi in essere da chi gridava “al centro, al centro” e il giorno dopo, per mere ragioni elettorali, tornava a far parte o di questo o dell’altro schieramento.

Valutando la diversità profonda tra i due contesti, esiste una similitudine con l’esperienza sturziana. Egli collocò su una posizione del tutto originale il Partito popolare offrendo un’alternativa programmatica e non ideologica da collocarsi tra liberalismo e socialismo.

In una fase completamente nuova riteniamo utile, non per noi, ma per il Paese, lavorare ad un’analoga proposta alternativa che oggi potrebbe portare alla nascita di una larga area, culturale e sociale, prima che partitica, in cui credenti e non credenti possano elaborare una proposta di rinascita e di trasformazione del Paese utile a superare le esperienze e i risultati fallimentari della cosiddetta Seconda repubblica.

Da tempo parlo della opportunità che si crei un “baricentro” in grado di assicurare e guidare un processo politico istituzionale che, riscoprendo la logica della “coalizione”, sia in grado di garantire il ritorno ad un’attitudine di costruzione, inclusione e partecipazione. Non è certo un discorso che possa vedere il coinvolgimento della Lega di Salvini o dei Fratelli d’Italia, così come alcune parti del centrosinistra che continuano a sposare una visione “radicaleggiante” che, però, non è quella cui Nino pensa io mi riferisca.

Quando parlo di deriva “radicaleggiante” del Pd penso proprio al radicaleggiare del Partito radicale di Marco Pannella. Cioè a quella visione antropologia e politica caratterizzata da un individualismo che antepone l’importanza di taluni diritti parziali a quelli più ampi e più generali, propri e attesi da fasce più larghe della società in materia di lavoro, di famiglia e di educazione.

Molta confusione è stata fatta tra la realtà americana e quella europea facendo divenire tuot court la visione “liberal” con un qualcosa di sinistra e non invece uno dei tanti pensieri che nascono nel capitalismo, la cui visione finisce inevitabilmente a connotarsi con accenti individualistici, piuttosto che personalistici e comunitari. Quelli cui noi facciamo, invece, riferimento. A mio avviso, larghe aree della sinistra sono finite vittime di questa confusione portando il centrosinistra a sposare cultura e azione politica d’impronta liberista più che solidaristica.

Non ad altro mi riferivo. Non certo a quel consunto comunismo storico del quale, vivendo da giovane a Livorno, avevo capito molto in fretta quanto,  in realtà, avesse poco di idealità e molto di gestione del potere.

La congiunzione di questi due aspetti, sposalizio di una cultura avulsa dalla propria storia e tradizione e riflusso quasi esclusivamente su posizionamenti gestionali e di potere, ha ridotto la capacità attrattiva del Pd. Un partito da cui ci si sarebbe attesi vedere, e non solo in occasione dell’approvazione della Legge cosiddetta Cirinnà, come la componente che si dice ex dc, e in questa veste continua a presentarsi al mondo cattolico, fosse capace di imporre una riflessione. Non solo per ciò che riguarda la visione integrale della Persona,  ma anche affinché la solidarietà e la ricerca della Giustizia sociale potessero tornare tra i primi punti dell’agenda del partito che ha continuato ad avere la presunzione di seguire una logica maggioritaria.

Al mio caro amico Nino, perciò, devo precisare che non ho mai giudicato il Pd radicalizzato “ a sinistra” come lui scrive. Francamente, devo dirgli che per quanto riguarda le questioni sociali mi sento molto più a sinistra di questo, ma anche del precedente Pd, se proprio dev’essere usata questa terminologia. Ma non è questo il punto che conta. Adesso va osservato, per inciso, che Enrico Letta è stato uno degli allievi prediletti di Beniamino Andreatta la cui visione cosiddetta “monetarista” non è che lo ponesse proprio come l’alfiere di una politica socio economica tra le più progressiste. Non è un caso che ad Andreatta si debba la famosa scissura tra Tesoro e Banca d’Italia. Nei suoi intenti c’erano indubbiamente sani principi morali, per il trionfo dei quali si batté in quella Dc per la quale coniò la popolare espressione di Balena bianca, ma i risultati sono stati quelli di fronte ai quali oggi ci ritroviamo.

Concordo con Nino nel riconoscere la validità della riflessione di Papa Bergoglio che ci si trova “tutti sulla stessa barca” e sui temi che egli elenca e che giustificano questa affermazione. Noi abbiamo forte questa consapevolezza, ma siamo anche certi che forti opinioni divergenti permangono sulla direzione che deve prendere la barca. O crediamo che Matteo Salvini sia davvero diventato europeista negli stessi modi e stessi contenuti cui noi ci riferiamo?

Siamo oggi in una fase di passaggio, terminata la quale ci troveremo in una stagione del tutto nuova. Sarà richiesta un’assunzione di responsabilità significativa e specifica da parte di tutti coloro che vedono nella politica l’occasione per impegnarsi per il Bene comune. Questo sarà il vero discrimine del domani tra quanto vorranno essere sinceri “costruttori” del nuovo o restauratori.