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Il piano di Trump per la pace, sul tavolo dei leader riuniti a Monaco il futuro dell’Ucraina

Monaco, 13 feb. (askanews) – Volodymyr Zelensky, forse, sperava ben altro. Ma dopo la cruciale giornata di ieri, il presidente ucraino ha dovuto prendere atto che il futuro negoziato di pace, per l’Ucraina, sarà tutto in salita. A Monaco di Baviera proverà a giocare le sue carte. Il leader ucraino arriva per un confronto con i suoi partner internazionali e un primo incontro con il vice presidente americano J. D. Vance. Con ogni probabilità, cercherà di fare sponda con l’Europa, almeno in questa prima fase tagliata fuori dalla linea diretta stabilita tra la Casa Bianca e il Cremlino. L’annuale Conferenza sulla sicurezza in Baviera, giunta alla 61esima edizione, offrirà l’occasione di proseguire sul solco tracciato da Donald Trump, in un momento cruciale di cambiamento per il mondo: la nuova amministrazione statunitense è entrata in carica a gennaio, un nuovo ciclo di legislatura europea ha avuto inizio da pochi mesi a Bruxelles, un fragile accordo di cessate il fuoco a Gaza è stato concordato tra Hamas e Israele, ed elezioni parlamentari tedesche sono in programma appena una settimana dopo la conferenza.

Negoziare da subito per ‘una soluzione di lungo termine’ del conflitto in Ucraina: è questa l’indicazione arrivata dalla Casa Bianca. Il tema, caldo, ha fatto passare in secondo piano tutti gli altri dossier della fitta agenda di Monaco: la crisi in Medio Oriente, la situazione nel Mar Rosso, le relazioni transatlantiche, la difesa europea, la guerra in Congo. D’altra parte, a quasi tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina, e dopo aver ripreso il dialogo ai massimi livelli con la Russia, Trump non vuole perdere tempo. Al termine dei suoi colloqui telefonici di ieri con Putin e Zelensky, ha dato mandato alla sua squadra di governo di proseguire le consultazioni in Germania. Un lavoro preliminare che servirà, anche, a preparare il vertice con il leader del Cremlino, presumibilmente in Arabia Saudita. Questa guerra ‘ridicola’ deve finire, ha spiegato Trump. Ha già provocato troppe morti e distruzioni, e sia Putin che Zelensky sono d’accordo: una soluzione ‘negoziata’ non solo è possibile, ma non è neppure troppo lontana.

Trump e Putin, dunque, alla fine si sono parlati. Novanta minuti di un colloquio che ha segnato un cambio di passo nella faticosa ricerca di un percorso di pace. Non tutte le intenzioni del presidente americano però sono chiare, al momento. E non è dato sapere se Trump abbia cambiato in corsa il suo annunciato, ma non ancora esplicitato, piano di pace. Di certo, i primi convulsi approcci tra Washington e Mosca hanno avuto l’effetto di lasciare Kiev e Zelensky un po’ più soli. Mentre Trump concordava con Putin l’avvio ‘immediato’ dei negoziati, infatti, il suo segretario alla Difesa Pete Hegseth definiva ‘non realistica’ l’adesione di Kiev all’Alleanza atlantica. Un concetto che, a scanso di equivoci, Trump ha poi ribadito ore dopo. I russi, ha sottolineato, si sono opposti ‘molto prima’ dello stesso presidente Putin, ‘e io sono d’accordo’. Come se non bastasse, in un modo quasi brutale, il capo del Pentagono ha rincarato la dose, escludendo anche l’ipotesi di un ritorno dell’Ucraina alla situazione territoriale precedente al 2014. Una posizione che taglia fuori la possibilità di uno scambio diretto di territori, ventilata da Zelensky e già esclusa da Mosca. Quanto alle garanzie di sicurezza per Kiev, devono essere ‘robuste’, eventualmente sostenute da truppe di peacekeeping non sotto l’ombrello della Nato, dunque senza copertura dell’articolo 5 dell’Alleanza atlantica. In nessun caso, ha comunque chiarito Hegseth agli alleati, verranno dispiegate truppe americane nel Paese.

Se questo è il piano di Trump, almeno a grandi linee, in Ucraina suona come una cocente delusione. A Kiev c’è preoccupazione, ma Zelensky e il suo entourage sanno che non è né il momento né il caso di porre condizioni. In un colloquio di un’ora con Trump, il presidente ucraino è stato informato dei contenuti della conversazione con il leader del Cremlino, dell’invito di Putin a Mosca e anche della decisione del presidente Usa di affidare la guida delle trattative con la Russia al segretario di Stato Marco Rubio, al direttore della Cia John Ratcliffe, al consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Waltz e all’ambasciatore e inviato speciale Steve Witkoff. Quest’ultimo, protagonista dello scambio tra i detenuti Marc Fogel e Alexander Vinnik, primo segno tangibile di un rinnovato, repentino, dialogo tra le parti. Nella squadra designata da Trump spicca l’assenza di Keith Kellogg, che pure sarebbe l’inviato della Casa Bianca per l’Ucraina e dovrebbe arrivare a Kiev il prossimo 20 febbraio. Una circostanza che sta alimentando le voci di presunti screzi con il tycoon repubblicano.

In Ucraina, ieri, è già stato il segretario al Tesoro americano Scott Bessent, che ha incontrato Zelensky nelle stese ore in cui Trump ha dato una spallata alla sua legittimità, avallando implicitamente una tesi tanto cara a Putin: il mandato del presidente ucraino è scaduto a maggio (seppur rinnovato sine die da una legge marziale che impedisce il voto in tempi di guerra) e prima o poi, ha detto Trump, ‘saranno necessarie elezioni in Ucraina’. Zelensky proverà a capire di più, e meglio, durante il suo colloquio con Vance, domani a Monaco. Il leader di Kiev spera ancora di chiudere importanti accordi economici con gli Stati Uniti entro la conclusione dei lavori in Baviera. E metterà sul piatto quelle terre rare che fanno tanto gola a Washington, proponendo inoltre alle aziende americane lucrosi contratti di ricostruzione e concessioni di investimento per cercare di tenere Trump dalla sua parte. La proposta iniziale del presidente Usa è nota: la garanzia di assistenza concreta a Kiev in cambio di circa 500 miliardi di dollari di preziose risorse minerali ucraine. Un progetto che, inizialmente, neppure Zelensky ha escluso a priori. ‘Abbiamo risorse minerarie. Metteteci dentro i vostri soldi. Investite. Facciamo sviluppo insieme’, ha detto.

Intanto Rubio e Kellogg ascolteranno le opinioni dei partner europei e degli alleati della Nato. Nei tre giorni di lavoro a Monaco è prevista la presenza di circa 60 capi di Stato e di governo e di oltre 150 ministri e leader di organizzazioni internazionali. A fare gli onori di casa, il presidente Frank-Walter Steinmeier, la ministra degli Esteri Annalena Baerbock, il ministro della Difesa Boris Pistorius e tutti i candidati alla carica di Cancelliere alle prossime elezioni: il capo del governo in carica Olaf Scholz (SPD), Friedrich Merz (CDU), Robert Habeck (Verdi) e Christian Lindner (Partito democratico libero). Tra i partecipanti ci saranno tutti i vertici dell’Unione europea – Ursula von der Leyen, Roberta Metsola, António Costa, Kaja Kallas e il nuovo Commissario europeo per la difesa Andrius Kubilius -, il segretario generale della Nato Mark Rutte, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, nonché diversi funzionari delle Nazioni Unite. L’Italia sarà rappresentata dal vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani e dal ministro della Difesa Guido Crosetto.

Il titolare della Farnesina ha in agenda un colloquio bilaterale con l’inviato di Trump ed avrà modo di confrontarsi anche con il segretario di Stato in occasione di una riunione del Quint su Gaza e una ministeriale Esteri informale del G7, convocata dalla presidenza canadese. Tajani ribadirà la sua posizione: in questa fase è assolutamente necessario che l’Europa lavori unita, con gli Usa, per raggiungere un accordo che non sia una tregua provvisoria e che riporti la pace nel nostro continente. Per farlo, però, occorre restituire all’Ue un ruolo di primo piano nei negoziati. Francia, Germania e Spagna hanno già chiarito che non può esserci accordo senza la partecipazione di Kiev e dell’Europa. E sollecitazioni in tal senso sono arrivate anche dall’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Kaja Kallas, secondo la quale ‘l’Ue deve potersi sedere a quel tavolo’.

Un ruolo che reclama anche la Cina, grande convitato di pietra nella stanza dei colloqui fra Trump e Putin. Un editoriale del Global Times di oggi ha esposto, senza equivoci, la posizione di Pechino, secondo cui il piano di ‘aiuti’ Usa all’Ucraina mostra appieno la sua natura ‘egoistica’ e ‘ipocrita’. Da Mosca intanto è arrivata la sponda del portavoce presidenziale Dmitry Peskov. Ricordando l’intenzione di valorizzare ulteriormente il partenariato strategico con Pechino, il diplomatico russo ha di fatto suggerito che il rinnovato dialogo tra Washington e Mosca non sarà a scapito della Cina.

Nell’attesa che la Conferenza inizi i suoi lavori, intanto, a Monaco sono state annunciate alcune manifestazioni di dissenso, con il raduno principale previsto nella storica Odeonsplatz. Le autorità hanno stabilito una zona di sicurezza allargata intorno alla sede delle riunioni per prevenire ogni sorta di incidenti. Tanto più, dopo quanto accaduto questa mattina, quando un richiedente asilo afgano ha lanciato la sua auto contro la folla, durante un raduno organizzato dal sindacato dei Verdi, provocando almeno 28 feriti. Saranno in vigore alcune limitazioni al traffico e al parcheggio e lo spazio aereo sopra la città sarà chiuso al traffico. L’apparato di sicurezza prevede il dispiegamento di un imponente numero di agenti destinati ai controlli di rito, allo scopo di proteggere alcuni siti ritenuti sensibili, come stazioni ferroviarie e fermate di mezzi pubblici. Saranno rafforzati anche i controlli all’aeroporto internazionale cittadino, il secondo più trafficato di tutta la Germania.

(di Corrado Accaputo)