Non sono certo tenero con questo Governo e con questa maggioranza. Ho attaccato con convinzione, e tornerei a farlo, il tentativo di boicottaggio del POS. Ho criticato aspramente, e tornerei a farlo, diverse altre misure tra tentativi abortiti e proposte ancora in essere nella Manovra2023: il taglio al RdC, scudo fiscale, etc…In tutti i casi ho sempre cercato di pormi in un’ottica di analisi dei costi/benefici e, soprattutto, della visione sociale a cui tali misure tendono. Non intendo cambiare approccio nemmeno oggi riguardo all’intenzione manifestata pubblicamente dal sottosegretario Butti di razionalizzare il tema dell’identità digitale a favore della esclusività della CIE (Carta d’Identità Elettronica) e del relativo superamento dello SPID.
Si tratta di una questione concreta che merita sicuramente una riflessione seria e non ideologica, in quanto investe un tassello sempre più imprescindibile della nostra vita quotidiana presente e futura di cittadini tout-court, vista l’ormai quasi totale sovrapponibilità tra cittadinanza reale e cittadinanza digitale. In particolare, faccio francamente fatica a non condividere l’idea di fondo che sembra ispirare tale proposito. Ovvero che nell’interazione con la Pubblica Amministrazione lato sensu – e nella relativa generazione e fruizione di servizi, diritti, adempimenti, etc…- lo scenario a cui tendere debba essere quello di un solo sistema di riconoscimento gestito esclusivamente da un’entità pubblica centrale (la CIE è gestita dal Ministero dell’Interno), al pari di quello che accade per il rilascio degli altri documenti di identità, e non (più) da soggetti privati, seppur qualificati, come sono gli Identity Provider SPID.
E questo chiaramente non perché si ritenga che l’attore privato sia “cattivo” o incapace (chi scrive è un convinto sostenitore della sussidiarietà e, tra l’altro, opera professionalmente proprio in una azienda del settore), ma segnatamente per quella che deve essere la natura specifica del riconoscimento certo e qualificato del singolo individuo davanti alla P.A. Si tratta infatti di quel primo punto di contatto nonché fondamentale elemento abilitante per la fruizione dei servizi e l’adempimento di obblighi e doveri del cittadino. In poche parole si ritiene che il controllo e la gestione esclusiva del riconoscimento del cittadino digitale alla porta d’entrata di tutta la P.A. digitale debba essere intrinsecamente una prerogativa di quest’ultima, nonostante questi ultimi anni di “supplenza tecnologica” erogata dagli Identity Provider abbiano utilmente supportato e diffuso un’evoluzione culturale di cui si vedono sempre più gli effetti virtuosi.
Identico approccio (accentramento, razionalizzazione, semplificazione e omogeneizzazione del servizio su tutto il territorio nazionale mediante reductio ad unum delle piattaforme) meriterebbero, inoltre, anche altri ambiti di interazione utenti-PA: per esempio lo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP), lo Sportello Unico dell’Edilizia (SUE), etc…Si auspica quindi che il Governo vada avanti sulla questione con pragmatismo, facendo leva anche sull’ormai ampia diffusione del concetto stesso di identità digitale. Diffusione raggiunta grazie anche all’utilità dello SPID sperimentata obtorto collo da molte persone nel periodo pandemico. Pragmatismo che imporrà comunque un percorso articolato e complesso, ma non certo impossibile. Tutto starà nella capacità dei vertici tecnici dei vari ministeri coinvolti e soprattutto nella reale volontà politica di addivenire al risultato al di là dei proclami a favore di telecamere.