Un meta-piano che non distribuisce responsabilità
Sul suo sito, Franco Giacobini legge il documento approvato dall’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità (Bozza del “Terzo Piano di Azione per la promozione dei diritti e l‘inclusione delle Persone con Disabilità“), come un “meta-piano”: un testo elegante, ricco di tavoli e articolazioni, ma povero di leve operative.
La promessa di realizzare il “Progetto di Vita” — cuore delle riforme recenti — si scontra con la clausola di invarianza finanziaria: tutto va fatto “con le risorse già previste a legislazione vigente”. Un ossimoro, perché l’inclusione intensiva richiede investimenti aggiuntivi; se non arrivano, si ricorre al gioco a somma zero: dare di più a qualcuno sottraendo a qualcun altro.
La conseguenza è politica, non tecnica: i diritti vengono tradotti in procedure, mai in obblighi.
Il vocabolario che accarezza, non governa
Nel Piano prevalgono verbi gentili: “promuovere”, “favorire”, “sostenere”. Quasi assente il verbo che conta: garantire.
Nessun vincolo, nessun principio sanzionatorio. Ed è qui che Giacobini inserisce la critica più tagliente: il testo ignora il Decreto Legislativo 222/2023, che impone alle Pubbliche Amministrazioni di inserire obiettivi di accessibilità nel Piano della Performance e lega la retribuzione dei dirigenti al loro raggiungimento.
Siamo, nota l’autore, di fronte a un arretramento: esiste già uno strumento fortissimo, ma il Piano sceglie la via delle “buone pratiche”, senza impegni vincolanti.
Linee guida e progetti pilota sostituiscono doveri, target, responsabilità.
Indicatori di processo, non di impatto
Il sistema di monitoraggio fotografa la stessa fragilità: gli indicatori misurano azioni, non risultati.
Conta se è stato aperto un tavolo, non se si riducono tempi di attesa, esclusione sociale, abbandono scolastico. Nessun target numerico: né aumento dell’occupazione, né accesso alle cure, né sostegni personalizzati.
Manca perfino un punto zero statistico. Senza conoscere lo stato di partenza, ogni monitoraggio diventa autocelebrativo: il Piano valuta l’attuazione di se stesso, non l’effetto sulla vita delle persone.
Le tre voragini: giovani adulti, lavoro, segregazione
Il capitolo sulla transizione alla vita adulta è, per Giacobini, un vuoto programmatico.
Non compaiono servizi ponte 16–24 anni, né équipe dedicate, né protocolli stabili di continuità educativa e sanitaria. Persino i temi dell’autonomia, dell’affettività, della sessualità — diritti concreti, non accessori — sono tabù istituzionali.
Sul lavoro, il Piano ignora il buco nero: l’enorme quota di Pubbliche Amministrazioni inadempienti nel Prospetto Informativo Disabili.
Senza quel dato, la Legge 68/1999 è sostanzialmente paralizzata: le assunzioni obbligatorie restano potenziali.
E sulla segregazione, parola proibita, il documento evita di prendere posizione.
Nulla sulla chiusura di strutture segreganti, nulla sulle regole per “abitare inclusivo”, nessun riferimento al Commento Generale n. 5 del Comitato ONU. Il problema è strutturale, ma trattato come una mera “area tematica”.
Una riforma alla porta
La lettura di Franco Giacobini è severa: il Piano non ha i muscoli per essere politica pubblica. Non vincola, non sanziona, non misura.
Così la riforma che prometteva un cambio di paradigma rischia di rimanere confinata nelle slide: la vita quotidiana di milioni di persone continua a dipendere dal grado di fortuna burocratica, dal comune di residenza, dall’ufficio competente.
Per leggere il testo di Franco Giacobini clicca qui https://www.giacobini.it/2025/12/02/un-piano-senza-gambe-ne-denti/

