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martedì, Febbraio 11, 2025
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Irène Némirovsky e l’arte di dare voce agli invisibili.

Un’analisi approfondita del racconto ‘La Nanja’ di Irène Némirovsky, che esplora la vita di un’anziana governante russa a Parigi, evidenziando temi di identità, nostalgia e trasformazione personale. Recensione di Silvia Gusmano.

«Anche Iei, come tutti, aveva avuto un nome, ma, da molto tempo, era caduto nell’oblio. La chiamavano “la Njanja”, che in russo significa “la tata” (…). Era molto anziana, così anziana che da anni non cambiava più. Sembrava immutabile, come il castello, il parco secolare, lo stagno silenzioso dove dondolavano leggermente delle grandi ninfee. (…) Tenevano a Iei per via dei ricordi impressi nelle rughe del suo volto». Irène Némirovsky (1903-1942) ce la presenta così, l’anziana donna protagonista del racconto La Nanja. Ce la presenta quasi come un non personaggio – non ha nome, non ha storia, non ha cambiamenti; esiste solo per il ruolo che ha svolto. Anziana govemante di una ricca famiglia russa rifugiatasi a Parigi dopo la Rivoluzione, ha tirato su generazioni di bambini: cantando antiche canzoni e raccontando storie, li ha intrattenuti, consolati, osservati, accuditi. Perché la Njanja ha occhi, e una straordinaria dolcezza.

Con occhi e dolcezza, però, ora non guarda più solo quegli ex bambini, ma anche se stessa.

E guardandosi, si pone tante domande. Ad esempio, cosa ci sta a fare qui, a Parigi? Qui, in una città immensa, circondata da una folla che non parla la sua lingua e che a volte ride di lei (una città, tra l’altro. che nemmeno in grado di far nevicare)? Pagina su pagina, mentre sembra farsi sempre più piccola nei suoi pensieri, l’anziana donna cresce invece davanti al lettore. Perché se la nostalgia è struggente per la sua terra lontana, vasta e sconfinata, l’anziana donna, passo dopo passo, diventa un personaggio dall’identità fortissima. Fino a uscire dalle righe.

La Njanja è uno dei racconti proposto da Adelphi, per la cura di Teresa Lussone, ne Il carnevale di Nizza (MilaLussone, Il carnevale di Nizza (Milano, 2025, pagine 288, euro 19). È giovane la scrittrice ebrea nata a Kiev (morirà ad Auschwitz a soli 39 anni) quando scrive queste pagine, non ha ancora compiuto trent’anni. Eppure le sue storie sono già cosi profonde. Mai disperate, né esaltate: con pazienza ma senza perdere tempo, la scrittrice scandaglia l’essere umano, riuscendo in particolare a cogliere la complessità di quelli che solitamente restano indietro. Con la sua inconfondibile prosa, Némirovsky indaga e ricostruisce con rara maestria «l’ora dei poveri, dei bisognosi che si affrettano, con la schiena curva, nel crepuscolo tremolante del mattino». È nel dolore di quelle schiene curve, nelle illusioni perdute, nella rabbia dei perdenti e dei traditi, che Némirovsky dà il meglio. E dare il meglio significa ridare un nome, un volto, un’identità. Le persone sono feroci, il tempo è feroce, perfino i sentimenti spesso lo sono, ma è proprio l’arte di coglere il tremolio del crepuscolo, della vicinanza e della vita, la missione a cui è chiamato chi scrive. Al di là delle rispettabili facciate borghesi, racconta Némirovsky, si celano il disordine, il male, la cattiveria che ci lasciano tutti soli nel bisogno. Che poi – si domanda la scrittrice, tramite i suoi racconti – in questi contesti che significano paroIe come fratemità, Natale, amore o felicità? Irène Némirovsky illumina l’arte dell’ascolto, anche se questo significa assumersi il rischio di ascoltare, dopo aver sentito, parti di sé che non piac-ciono. Perché la verità è che si può veramente tremare di freddo anche se si indossano «caldi abiti inglesi».

 

Fonte: L’Osservatore Romano – Lunedì 3 febbraio 2025

Titolo originale: Storia di una vecchia tata immutabile.

[Articolo qui riproposto per gentile concessione di Andrea Monda, direttore del quotidiano edito nella Città del Vaticano]