Lo spirito di Teilhard de Chardin, il poliedrico gesuita di cui in questi giorni si celebrano i 70 anni dalla morte, ha aleggiato dall’inizio alla fine dell’incontro che si è svolto stamattina nella basilica di San Giovanni in Laterano. “La responsabilità della speranza e il lavoro dello spirito” era il tema dell’evento che, partendo da una recente ricerca del Censis, ha spinto al confronto diversi e prestigiosi relatori, da Giuseppe De Rita a Massimo Cacciari, da padre Antonio Spadaro a don Fabio Rosini a Andrea Riccardi.
Il documento del Censis, base del dibattito, riporta significativamente l’affermazione del teologo francese per cui «La Chiesa deperirà se non sfuggirà al sacramentalismo quantitativo, per reincarnarsi nelle aspirazioni umane concrete». Riflettendo sui risultati di tale ricerca, il cardinale vicario Reina, nel saluto iniziale, ha fatto riferimento alla parabola del padre misericordioso in cui nessuno dei figli comprende davvero il padre né tantomeno il senso della propria casa, Reina ha invitato «noi cristiani a domandarci se i nostri luoghi non risultino inospitali». In effetti, i dati della ricerca ribadiscono ancora una volta il distacco della società italiana rispetto alla Chiesa. Da un lato gli italiani che si definiscono cattolici sono il 71,1% della popolazione — di cui il 15,3% praticante, il 20,9% “non praticante” e il 34,9% dichiara di partecipare solo occasionalmente alle attività della Chiesa —, ma dall’altro questo numero scende al 58,3% nella fascia 18-34 anni e il 56,1% di coloro che si definiscono cattolici non frequentano o frequentano poco la Chiesa perché vivono «interiormente» la fede. Eppure Giulio De Rita ha ricordato come «la nostra società avverte il forte bisogno di trovare una vocazione, di mettere a frutto i propri talenti». Soprattutto ora che ci si trova ad affrontare crisi dal risvolto politico, sociale e antropologico quali la pandemia, la guerra: come è possibile che, di fronte a certe necessità e di fronte allo svuotamento delle istituzioni guida per eccellenza, la Chiesa non riesca ad essere l’ancora cui fare affidamento per aprire nuove domande, per cercare nuovi stimoli o nuovi luoghi in cui ascoltarsi, riflettere? Ecco dunque emergere la “zona grigia”, risultato sì di un individualismo imperante ma pure di una Chiesa che troppo spesso fatica ad indicare un oltre, ad essere attrattiva, a conquistare cuore e menti non solo dell’individuo, ma soprattutto della comunità di cui si è smarrito il senso e anche il desiderio.
Per affrontare questa sfida, il fondatore del Censis Giuseppe De Rita non ha dubbi: «I cattolici devono aiutare il mondo ad “andare avanti e in alto” come diceva Teilhard». Affinché ciò avvenga occorre lasciar lavorare lo spirito, collaborare con esso e lavorare sul soggettivismo, proprio su ciò che la Chiesa vede come un nemico. In quella zona grigia ci sono persone che si fanno il segno della croce o che pensano all’aldilà ma che magari non frequentano i nostri stessi luoghi: il soggettivismo non dev’essere visto come elemento di disgregazione, bensì come elemento comune, anche spirituale, di quella zona grigia. Perché lo spirito è l’energia che ci mette in relazione. La scommessa è ritrovare questa unità che è propria dello spirito. Infatti, ha precisato con forza De Rita, «la dualità uccide. La lezione di Poletti e Bartoletti, la chiesa degli anni ’70, fu proprio passare dall’aut-aut all’et-et, per cui ad esempio l’evangelizzazione e la promozione umana vanno insieme. Se non esistessero, la nostra comunità ecclesiale non avrebbe senso alcuno, se non quello di pregare. Cercare la Chiesa di pochi ma buoni è, in questo senso, un meccanismo di cultura dualistica. Invece unico è il padre, unica è la promessa. Il ruolo dei cattolici è proprio questo: richiamare gli italiani all’uso di quegli strumenti, riattivare quei semi, anche piccoli, che la chiesa in uscita ha portato con sé e che oggi, magari senza saperlo, getta nella società».
L’espressione “lavoro dello spirito” nasce da Max Weber, ha ricordato Cacciari (che l’ha usata come titolo di un saggio pubblicato nel 2020 da Adelphi) che concorda con De Rita, e quindi con De Lubac citato spesso da Francesco, che lo spirito sia proprio il padre dell’unità, dell’armonia. La sua è una riflessione «da non credente» commenta parlando ai media vaticani, «e da persona consapevole che oggi ci ritroviamo di fronte a una sfida enorme: il dominio dell’uomo tecnico e dell’homo oeconomicus sull’homo politicus. Nel modello weberiano si presumeva che non solo vi fosse l’homo politicus, ma che vi fosse una élite politica in grado di interpretare le tendenze dell’epoca. Oggi questo non avviene più. Dagli Stati Uniti all’Europa stiamo assistendo a una debacle strategico-politica all’interno delle principali culture politiche. La crisi si sta aggravando. In questa situazione la grande forma politica della Chiesa cattolica ha tenuto sulla linea di una ragionevolezza, che mi pare manchi altrove. La fine dell’uomo politico è una crisi radicale, antropologica, ed è del tutto integrante alla crisi della religiosità analizzata oggi. La fine di una responsabilità politica orientata corrisponde alla fine di una vocazione comunitaria. E allora occorre una grande politica per reagire al dominio dell’homo technicus. I pensanti si devono alleare. E devono farlo rapidamente, combattendo insieme questa battaglia. Credenti e non credenti. Entrambi devono diventare segno di contraddizione. Su questo, da non credente, mi sento non appunto identico ma completamente alleato, amico. Anche la vera politica è trascendente. Indica sempre dei fini. Tutt’altro che individuali». Alleanza tra i pensanti prima ancora che tra credenti e non credenti, tutti insieme per contrastare il “paradigma tecnocratico”, per dirla con Francesco, nel quale siamo oggi, volenti o no, tutti immersi.
In piena sintonia con Cacciari l’intervento di don Fabio Rosini che ha sottolineato l’importanza di rimanere, come Chiesa, segno di contraddizione. Anche perché è questo che attira i giovani. Parlando ai media vaticani il sacerdote romano ha detto che: «Ai giovani la Chiesa non deve proporre una copia, un surrogato della realtà: il mondo è già pieno di virtualità. Allo stesso modo, la Chiesa non deve presentarsi ai ragazzi come un luogo in cui giocare e divertirsi, quasi fosse Gardaland. La Chiesa deve proporre cose serie, radicali, impegnative. Perché i giovani vogliono grandi avventure, grandi proposte. Diamo loro l’infinito, non il finito. Diamo loro qualcosa che veramente vale. I dati del Censis sono il risultato di questa deriva lunga, di un’evangelizzazione non coraggiosa: ci siamo posti dentro la realtà della società in modo accomodante, non ci siamo lanciati nell’annuncio esplicito del Vangelo e questo è il risultato. Tante mistificazioni sulla fede e rotture di priorità hanno dato un ruolo secondario al cristianesimo. Ora dobbiamo cercare di capire qual è la chiamata di Dio».
Questa chiamata, secondo padre Spadaro, sembra oggi invitarci, come fece Gesù su lago di Tiberiade, a “passare all’altra riva”. Proprio quando si alza il vento e infuria la tempesta. Una scena che parla dell’oggi e incoraggia i credenti a non avere paura delle “rapide” della storia, perché Cristo è vicino, è sulla barca. «I cambiamenti che oggi sperimentiamo sono non veloci ma rapidi» ha detto il gesuita, «cioè ci rapiscono, travolgendoci. Che cosa significa quindi essere discepoli di Cristo nel nostro mondo così turbolento quando verrebbe la tentazione di usare solo immagini apocalittiche? Come si fa a non essere travolti dalle onde del mondo presente?». Per farlo bisogna saper “leggere le onde”, standoci dentro, attraversandole, non polarizzando tra Dio e il mondo ma amando e seguendo Dio “nel mondo”. L’alleanza dei pensanti di cui hanno parlato Cacciari e De Rita è la via da seguire consapevoli che, come ricordava Teilhard, “tutto ciò che sorge converge”.
Su questo desiderio di risorgere ha concluso l’incontro Andrea Riccardi fugando la tentazione di rinchiudersi in minoranze, anche creative, se questa è la tentazione della “consolazione”, perché il destino della vocazione della Chiesa è molto più grande, si tratta di essere all’altezza di quel destino e il segno di una basilica piena una mattina di sabato per parlare di questi temi è senz’altro incoraggiante.
Fonte: L’Osservatore Romano – 29 marzo 2025
Titolo originale: Il lavoro dello spirito e il ruolo dei cristiani nella società contemporanea