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domenica, 27 Luglio, 2025
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La Corte costituzionale salva le cooperative. Non basta un’inadempienza formale per scioglierle

Una sentenza importante riafferma il valore costituzionale della cooperazione: la sanzione dev’essere proporzionata. In caso di mancata vigilanza basta un commissario ad acta.

Un principio di proporzionalità

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità di una norma che prevedeva lo scioglimento per atto d’autorità delle cooperative che si sottraevano agli inviti dell’autorità di vigilanza, anche in assenza di una verifica sul loro effettivo operato. Non si tratta di giustificare le inadempienze, ma di affermare un principio: lo scioglimento è una sanzione sproporzionata, e l’ordinamento dispone di strumenti più idonei e meno invasivi. In questi casi, precisa la Corte, è sufficiente la nomina di un commissario ad acta, che si sostituisca temporaneamente agli organi amministrativi per consentire il regolare compimento degli adempimenti richiesti.

Una formula radicata nella storia italiana

La pronuncia ha un rilievo non solo giuridico ma anche culturale. La Corte ricorda che l’articolo 45 della Costituzione – che “riconosce la funzione sociale della cooperazione” – non ha eguali “nel panorama comparatistico”, giacché “una tale valorizzazione trova infatti la sua giustificazione negli strati profondi della società di allora, che metteva di fronte ai costituenti l’imponente movimento cooperativo sviluppatosi in Italia a partire dalla metà dell’Ottocento”.

Quel movimento, promosso da cattolici e socialisti, diede vita a una rete popolare di solidarietà concreta, che la Costituzione ha voluto proteggere anche sul piano formale, vincolando il legislatore a favorirne l’incremento “con i mezzi più idonei”.

Il rischio della deterrenza normativa

Il punto, secondo la Corte, è che oggi il modello cooperativo, “perdurante e attuale nella sua funzione sociale”, è in difficoltà: “sta attraversando una grave crisi, attestata dal tasso di crescita ormai da alcuni anni costantemente negativo, a dispetto di quello del totale delle imprese”. Tra le cause, accanto alla perdita di vantaggi fiscali, vi è anche “un assetto legislativo” che non favorisce lo sviluppo del settore.

“Invece che favorire l’incremento della cooperazione”, norme punitive “possono determinare un grave effetto di deterrenza”, persino nei confronti “di cooperative che, ove sottoposte a revisione, risulterebbero in possesso dei requisiti mutualistici”.

Non è una società benefit

La cooperazione non è un ibrido, né un modello superato. È “una forma avanzata di impresa anche in sistemi socialmente evoluti, che non è surrogabile dal nuovo fenomeno delle società benefit”. Essa si regge su “elementi del tutto peculiari: la mutualità, che ne costituisce la missione fondante, ricollegandosi ai principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, e la democraticità, che ne informa il modello di governance”, nonché sulla “creazione di ricchezza intergenerazionale, devoluta tramite i fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione”.

La sentenza rafforza, con parole misurate ma incisive, la necessità di non confondere la disciplina con la repressione e di non mortificare, in nome di una rigidità formale, una tradizione che ha ancora molto da dire.