Può succedere ancora tutto, in questa crisi (non di governo: di sistema) che ha colto il Paese alla sprovvista e la sua classe dirigente sostanzialmente impreparata. Ma se la crisi, per l’appunto, non è solo di governo ma di sistema vuol dire che, al di là della soluzione che verrà trovata la prossima settimana, i problemi di fondo sono destinati ad essere affrontati radicalmente, pena il loro riproporsi incancreniti, nel breve o medio periodo.
Al momento sembra profilarsi l’ipotesi di un governo che sarà chiamato a coniugare una riforma non condivisibile della Costituzione con la necessità di porvi automaticamente rimedio mettendo mano alla legge elettorale. Un’altra conseguenza, purtroppo difficilmente eludibile, sarà il varo di una legislazione in materia di fine vita che introdurrà l’eutanasia in Italia. Le cose vanno viste insieme.
Con la legge sull’eutanasia che si profila (non è stata nemmeno abbozzata, ma tutti sappiamo cosa pensino a riguardo Pd e Cinque Stelle) si compirà il processo di radicalizzazione, nel senso pannelliano del termine, dell’ordinamento italiano. Un ciclo che si compie.
Con la riforma della Costituzione il populismo grillino avrà finalmente il suo scalpo: il Palazzo è stato punito. Un successo che toglierà al M5S la sua ragion d’essere, perché dopo sarà sempre più difficile trovare un nemico contro cui puntare l’indice, in cerca di facili consensi, mentre si faranno sempre più inevitabili le difficili scelte in materia di conti pubblici, politica economica ed emergenze sociali.
Il mondo vede all’orizzonte una nuova possibile recessione: vacche magre, qualcosa andrà fatto e la circostanza sembra fatta apposta per alimentare fin da subito le crepe tra i due alleati.
I 10 punti programmatici di Di Maio ed i tre di Zingaretti non sono certo da respingere a priori: sono un elenco di alcune delle cose da fare.
Ad essere insufficiente è la caratura di chi è chiamato ad applicarli nei prossimi mesi: manca una vera progettualità, manca quel collante tra rappresentanti e rappresentati che è conditio sine qua non per guidare una democrazia avanzata in una navigazione su acque basse.
Manca, infine, la coscienza di un dato politico di portata strategica: da una legge elettorale proporzionale (proporzionale puro, sia chiaro: anche l’orribile Rosatellum ha un impianto proporzionale) non potrà che nascere un quadro politico rinnovato alla sua radice. Cadrà il sottile ricatto del voto utile, riaffioreranno le culture politiche cui è stata messa la mordacchia dopo il 1992, le identità (quelle vere, non quelle valligiane) saranno protagoniste del gioco democratico.
In una parola, si apriranno spazi finora negati a chi è portatore di una cultura forte e di mediazione, come quella cattolica. Nella sua versione popolare, nella sua versione democratica.
Un appuntamento con la Storia al quale dovremo farci trovare pronti, se mai si presenterà. Il processo di aggregazione dovrà essere rafforzato in questi 18 mesi che durerà, presumibilmente, il prossimo esecutivo.
Ed un salto di qualità sarà necessario, ad iniziare da uno sforzo sempre più ampio in quelle iniziative che sono state imbastite (pensiamo alla raccolta di firme in favore del Terzo Settore) allo scopo di superare la sterile divisione tra cattolici della morale e cattolici del sociale, una distinzione che sa molto di bipolarismo maggioritario.
Quindi una più forte strutturazione sul territorio e la messa a punto di una serie di proposte concrete da presentare ad un possibile elettorato di riferimento. I tempi ci chiamano.
C’è solo una cosa peggiore di star fermi a guardare, seduti su una staccionata: capire che si può scendere in campo, e scegliere di restare a guardare.
C’è solo una cosa peggiore di star fermi a guardare, seduti su una staccionata: capire che si può scendere in campo, e scegliere di restare a guardare.