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venerdì, 26 Dicembre, 2025
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La “nuova barbarie” e la colpa rimossa della Russia

Una stimolante analisi sull’ultimo libro di Viktor Erofeev ha trovato spazio qualche giorno fa sull’agenzia AsiaNews. Il  tema centrale del volume è la rimozione della responsabilità nella cultura politica russa. Di qui la barbarie.

Questa nota prende le mosse dall’articolo di Francesco Caprio pubblicato su AsiaNews il 20 dicembre 2025, leggibile qui, riguardante l’ultimo libro dello scrittore russo Viktor Erofeev, La nuova barbarie. Un romanzo di fantasia sulla colpa della Russia. Al centro del volume vi è una domanda radicale: perché la Russia fatica a riconoscere la propria colpa? Non solo quella legata alla guerra in Ucraina, ma una colpa più profonda, storica e psicologica, che attraversa la coscienza collettiva e condiziona il rapporto con il potere, con la violenza e con la verità.

Chi è Viktor Erofeev

Viktor Erofeev è una delle figure più rilevanti della letteratura russa post-sovietica. Appartenente alla generazione postmodernista, vive a Berlino dal 2022, dopo aver preso apertamente le distanze dalla politica del Cremlino, già criticata fin dall’annessione della Crimea. Figlio di un interprete di Stalin poi divenuto diplomatico a Parigi, Erofeev è cresciuto tra Urss ed Europa occidentale, maturando la convinzione che l’Europa fosse la sua “stanza libera”, lo spazio della critica e dell’autonomia intellettuale. La sua scrittura nasce da questa tensione: fedeltà alla cultura russa e, insieme, rifiuto di ogni autoassoluzione

nazionale.

La tazza rotta e il rifiuto della responsabilità

Il nucleo simbolico del libro è una parabola familiare: la tazza della nonna che cade e si rompe. Nessuno dice mai “ho rotto una tazza”; si dice invece “si è rotta la tazza”. In questa forma impersonale Erofeev individua un tratto profondo della psicologia russa: la colpa viene spostata, dissolta, attribuita agli oggetti o alle circostanze. Assumerla apertamente è troppo rischioso, perché in una società segnata dalla sproporzione tra colpa e punizione, un errore può trasformarsi in una condanna totale.

La rimozione della colpa diventa così una strategia di sopravvivenza collettiva, che però produce irresponsabilità sistemica e prepara il terreno alla violenza.

Storia, potere e silenzi istituzionali

Questa dinamica non resta confinata alla sfera privata. Nessuno – osserva Erofeev – si è mai assunto la responsabilità del crollo dell’Unione Sovietica, delle scelte economiche fallimentari, delle guerre che hanno segnato la storia recente della Russia, dall’Afghanistan all’Ucraina. Anche la Chiesa ortodossa non ha mai chiesto perdono per la collaborazione con il regime sovietico, mentre oggi legittima simbolicamente il potere politico, moltiplicando chiese vuote e benedicendo una guerra che consuma vite e coscienze.

Il rifiuto della colpa diventa così una categoria politica: il potere non sbaglia mai; se qualcosa va in frantumi, “è successo da solo”.

La barbarie come questione europea

È qui che la riflessione di Erofeev va oltre il caso russo. La “nuova barbarie” non è un ritorno arcaico, ma un esito moderno di una civiltà che ha smarrito il senso della responsabilità. La Russia, secondo lo scrittore, ha inaugurato questa stagione, ma non ne ha l’esclusiva. La rimozione della colpa, la delega permanente, il disprezzo per la vita umana come costo collaterale del potere sono tentazioni che attraversano anche le società occidentali.

Per questo La nuova barbarie interpella direttamente l’Europa. Non come giudice esterno, ma come spazio politico e morale chiamato a non imitare ciò che condanna. Senza la capacità di dire “abbiamo sbagliato”, senza una cultura della responsabilità, anche le democrazie rischiano di scivolare in forme nuove di barbarie, meno appariscenti ma non meno distruttive.

Erofeev non decreta la fine della Russia ma ne rileva la difficoltà strutturale: se nessuno si assumerà la colpa dei disastri compiuti, il Paese resterà una pagina bianca su cui scrivere sempre lo stesso romanzo, cambiando solo i nomi dei personaggi. È una lezione che riguarda tutti, perché la barbarie non nasce dall’assenza di civiltà, ma dal rifiuto di riconoscere le responsabilità che sono alla base della barbarie stessa.