Il punto di partenza della mediazione del Cardinale è stato un’immagine tanto quotidiana quanto radicale: lo sguardo. «La pedagogia degli sguardi», l’ha definita, è la capacità di incontrarsi negli occhi, tra noi e con Dio, senza eludere la realtà e senza rifugiarsi in chiusure difensive. Guardare davvero significa scegliere la verità, e non lasciarsi vincere dalla tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà del tempo presente.
Oltre le lamentazioni
Il cardinale ha invitato ad abbandonare l’abitudine sterile della lamentela – «non allungare il Libro delle Lamentazioni» – e a coltivare invece la riflessione condivisa. Le domande da cui partire, secondo lui, sono due e valgono come bussola:
- Che cosa ci sta chiedendo il Signore, oggi?
- E noi, come rispondiamo?
Il riferimento evangelico è stato il brano di Luca 10, 1-12.17-20, dove Gesù, dopo un’intensa esperienza di Dio, intraprende il suo ministero di parola e azione. È questo lo stesso movimento che i catechisti sono chiamati a compiere: dall’interiorità alla testimonianza concreta.
La profondità prima delle pratiche
Con parole dirette, Reina ha denunciato la tentazione di ridurre il servizio catechistico a un insieme di pratiche burocratiche – certificati, modulistica, assegnazione delle stanze – dimenticando ciò che è essenziale: la preghiera e la condivisione della Parola. «Dio non è mai in superficie», ha detto, «ma sempre in profondità».
Per questo, chi non prega e non si nutre quotidianamente della Scrittura non può essere autenticamente catechista. Il ministero non nasce da nozioni da trasmettere, ma da un cuore colmo dell’esperienza di Dio. La catechesi, come la Chiesa, è realtà viva e quindi sempre da rinnovare: non con rivoluzioni improvvise, ma attraverso piccoli passi di cambiamento, maturati insieme – catechisti, genitori, liturgisti – con la consapevolezza che la fede non si insegna come una disciplina, ma si condivide come un dono.
Risuona qui la domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli in Giovanni 6: «Volete andarvene anche voi?». È la domanda che attraversa ogni tempo e che obbliga a scegliere se lasciarsi guidare dalla Parola o ripiegare su abitudini rassicuranti.
La Lectio divina di don Manrico Accotto
Alla meditazione del cardinale è seguita la Lectio divina di don Manrico Accotto, direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano, che ha scelto come testo guida il brano degli Atti degli Apostoli (8, 26-40): l’incontro tra Filippo e l’eunuco etiope. Un episodio che mostra come la Parola di Dio, quando trova un cuore in ricerca, apra cammini inattesi e generi fede viva.
Accotto ha proposto una lettura meditata del passo, mettendolo in relazione con l’esperienza dei discepoli di Emmaus (Lc 24): in entrambi i casi, la fede nasce da un incontro che diventa dialogo, da una Scrittura che viene spiegata e compresa, fino a sfociare nella gioia della condivisione e nella decisione di mettersi in cammino.
Da questa dinamica emerge quello che Accotto ha definito il paradigma dell’evangelizzazione, articolato in quattro tappe:
- Incontro – la vicinanza che apre il cuore.
- Annuncio – la Parola proclamata e spiegata.
- Catechesi – l’approfondimento che radica la fede.
- Battesimo – la piena accoglienza del dono
di Dio nella comunità.
Un itinerario che non è solo schema teorico, ma esperienza viva, che interpella la Chiesa di oggi e i catechisti in particolare.
Una Chiesa che si rinnova dal basso
L’intero convegno ha mostrato come la catechesi non possa più essere pensata come trasmissione unidirezionale, ma come esperienza comunitaria di fede. È una sfida che interpella non soltanto i catechisti, ma l’intero tessuto ecclesiale: famiglie, liturgie, relazioni quotidiane.
La pedagogia dello sguardo, allora, diventa metafora di una Chiesa che si rinnova partendo dall’ascolto e dalla profondità. Guardare negli occhi – Dio, gli altri, la realtà – è forse la prima e più rivoluzionaria forma di evangelizzazione.